I primi quarant’anni sono stati celebrati alla Tenuta Castello di Sali Vercellese. C’era anche Elisabetta Falchi, la presidente, a festeggiare Sa.Pi.Se. (Sardo-piemontese-sementi), nata nel 1978 ad opera di un piccolo e coraggioso gruppo di risicoltori sardi, che nel Campidano coltivano su tremila ettari di supercicie. E’ un’altra storia della risicoltura italiana, che ruota attorno a Oristano, Cabras. Il riso di Sardegna è considerato fra i più puri d’Italia, perché nasce e cresce grazie a un clima che – nelle annate giuste – consente di ottenere un prodotto inattaccabile dai parassiti. Ed è per questo che le sementi sarde vengono poi “esportate” nella Pianura Padana, soprattuto nel Vercellese e nel Novarese. Così ai soci della Sardegna si aggiunsero quelli piemontesi. Oggi, in tutto, una quindicina di aziende fra l’isola e il Piemonte. Un esempio disinergia a distanza, che punta sugli scambi di conoscenze e commerciali.
La Sa.Pi.Se. è uno dei punti di riferimento della ricerca per i sementieri egli agricoltori. Che una volta l’anno, secondo una tradizione mai interrotta, si ritrovano alla Tenuta Castello alla vigilia della raccolta pe gli scambi d’opione e la visita ai campi sperimentali. Qui è nato il primo riso nero d’Italia, il Venere, tutto Made in Italy, eccellenza della risicoltura, che ha aperto la strada a tutti gli altri risi pigmentati. Fu chiamato Venere forse in onore di Josephine Baker, la venere nera.
Il direttore generale Carlo Minoia: “Il Venere è nato nel 1997 e non dobbiamo smettere di essere orgogliosi, così come lo sono i produttori che hanno certificato quella varietà. Ma non solo per quelal varietà: Sapise produce anche lunghi B e copre il 37% del mercato. E non dimentichiamo Sole, Mare, poi il Carnise che appartiene alla famiglia del Carnaroli. Il futuro? Il riso da sushi, ormai molto ricercato dal mercato”.
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