L’estate dà i numeri e sono numeri amari. Qualche anno fa un agricoltore della provincia di Rovigo andò dal suo parrucchiere abituale e chiese un taglio di capelli, poi tornò e gli consegnò due sacchi del suo grano appena raccolto: complessivamente 73 chilogrammi, corrispondenti a 1.095 centesimi, avvicinandosi alla tariffa stabilita dal parrucchiere, 11 euro. Un baratto, anzi una protesta per sottolineare la crisi del settore dovuta ai prezzi minimi pagati ai coltivatori. Adesso tocca alla frutta, che sta attraversando una crisi pesantissima, dovuta all’andamento climatico anomalo e al costante calo dei consumi domestici. Confagricoltura ha lanciato l’allarme: i prezzi pagati alla fonte, cioè ai coltivatori, non riescono neppure a coprire i costi di produzione. Questa volta il termine di paragone è la tazzina di caffè: all’agricoltore è necessario vendere tre chilogrammi di frutta se vuole andare al bar e ordinare una tazzina di caffè. Un’altra comparazione è svelata da Albano Bergami, presidente della federazione nazionale frutta di Confagri: uno smartphone vale quanto il consumo annuale di frutta di 18 italiani, cioè tremila chilogrammi.
A soffrire di più l’albicocca, contrastata anche dall’importazione massiccia dalla Spagna. I 30-35 centesimi riconosciuti ai produttori italiani non sono assolutamente remunerativi. Una soglia che si abbassa ulteriormente in alcune zone d’Italia, come la Basilicata, in un’area vocata, la Rotondella: qui l’industria riconosce un prezzo che varia tra i 2 gli 8 centesimi per Kg. C’è solo da sperare che l’estate non dia altri numeri, ma rinsavisca e prevalga il buonsenso.
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