Nei vigneti dell’Astigiano, del Monferrato e delle Langhe la vendemmia appena conclusa è stata la prima per la produzione del cosiddetto “Asti Secco”, ossia della versione con un minore contenuto di zuccheri, fino a extra-dry, del tradizionale prodotto da dessert dolce ed aromatico che da sempre siamo abituati ad apprezzare.
La modifica del disciplinare di produzione, avanzata dal relativo Consorzio di tutela e avallata dalla Regione Piemonte, ha avuto il via libera del Comitato nazionale vini del Dicastero dell’agricoltura, presieduto dal novarese Giuseppe Martelli, diventando esecutiva. Ma le polemiche non sono mancate.
Dottor Martelli, mi sembra che in Veneto la decisione del Comitato ministeriale da lei presieduto non sia stata presa bene, perchè?
<<I produttori di Prosecco ritengono che l’introduzione della nuova tipologia “scimmiotti” il loro prodotto creando confusione nel consumatore e quindi danneggiandolo. Da qui la polemica che da tempo serpeggia visto che a nulla sono valsi i tentativi di trovare un accordo di reciproca utilità per le parti. Sicuramente il Prosecco ha fatto e sta facendo da “locomotiva” ad una larga fascia di prodotti. L’operazione, licenziata dal Comitato nazionale vini nel 2009, dopo qualche anno di assestamento, ha iniziato a mietere consensi fino ad arrivare, tra Doc e Docg, a mezzo miliardo di bottiglie vendute nel 2016 in tutto il mondo>>.
E’ un bene o un male che si sfruttino in scia le positive esperienze?
<<Nel rispetto delle norme, tutti gli aventi diritto possono tentare; il risultato però non è scontato. Nella fattispecie comunque siamo di fronte a due obiettivi differenti. Il Prosecco nelle sue caratteristiche è rimasto com’era; conscio delle sue potenzialità ha capito che doveva meglio organizzarsi per capitalizzare il suo valore, difendendosi da chi voleva sfruttare il nome svilendo il prodotto, elevando la qualità, blindando nome e territorio. L’Asti, forte della sua eccellente materia prima, vuole ampliare la sua proposta salvaguardando le tradizioni e puntando su obiettivi diversi, forte anche del fatto che lo spumante è un elaborato “tecnologico” che segue specifici concetti produttivi e di marketing>>.
Secondo la sua esperienza l'”Asti Secco” avrà successo?
<<Me lo auguro, ma è presto per dirlo. Dipenderà da diversi fattori. Vedremo nei fatti quante aziende investiranno e come sulla nuova tipologia, in quale fascia di prezzo sarà collocato, quali saranno le ripercussioni sul prodotto dolce tradizionale e, fra qualche anno, a bocce ferme, tireremo le somme>>.
Prosecco ed Asti rimangono comunque gli spumanti italiani più diffusi nel mondo. In un contesto europeo come si collocano?
<<Certamente, anche se il primo è avanti di diverse lunghezze. Non ricordo i dati esatti comunque ritengo che l’Asti sia sotto i 60 milioni di bottiglie vendute all’anno mentre il Prosecco, come dicevo prima, viaggi intorno ai 500 milioni. Una quota decisamente alta se si considera che in Europa si producono e vendono ogni anno circa 2.000 milioni di bottiglie di spumante di cui 950 milioni prodotte in Italia, 570 in Francia, 280 in Germania e 260 in Spagna>> (g. f. q.)
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