di Enrico Villa
Il cibo falso, meglio conosciuto internazionalmente come Fake, procura all’agricoltura del nostro Paese circa 60 miliardi di euro di danni ogni anno. Il buco nei bilanci aziendali è procurato da una serie quasi infinita di formaggi, salumi, altri alimenti i quali stanno prendendo piede in Europa ed in altre aree da noi considerate mercati forti, cioè da prospettare commercialmente con il made in Italy. Coldiretti ha anche ideato graficamente una mascherina, che come per i ladri e i truffatori, nasconde i falsi, consentendo ai detentori quasi sempre di farla franca. Questa volta, però, l’organizzazione agricola fondata negli anni Quaranta dal novarese Bonomi, ha richiesto l’aiuto dei consumatori che anche possono trarre grave danno dai Fake, chiedendo loro che sottoscrivano una mozione al governo italiano, almeno quando ci sarà e alla Unione Europea il cui parlamento di Strasburgo sarà rieletto nel 2019.
L’intervento istituzionale delle autorità figura fra le promesse illustrate nella recente campagna elettorale, in Italia conclusasi con le elezioni politiche del 4 marzo scorso. Entro il prossimo mese di aprile, i consumatori sono chiamati a sottoscrivere l’appello che, secondo i propositi, sarà illustrato e commentato a Bologna alla fine di aprile. La proposta di mozione, anche sostenuta da Alfonso Pecoraro Scanio, già ministro delle politiche agricole, è stata redatta in collaborazione da Coldiretti e da Campagna Amica. La sollecitazione ai consumatori, una schiera assai più importante di un tempo, è così riassunta: il nostro Paese custodisce un patrimonio di biodiversità unico al mondo, frutto del lavoro quotidiano di tanti uomini e donne. Tuttavia la capacità di realizzare prodotti straordinari è insidiata da imitazioni e truffe. Complessivamente l’italian sounding vale 60 miliardi di Euro sul mercato mondiale, sottraendo risorse alla nostra economia e alle nostre imprese agricole, che si trovano a concorrere con chi non rispetta gli stessi vincoli per la salvaguardia dell’ambiente, delle condizioni di lavoro e dell’impatto sociale.
Per correttezza di cronaca economica è, forse, indispensabile anche accennare ai distinguo prospettati da altre organizzazioni imprenditoriali e da grandi organismi della cooperazione i quali, in sintesi, sostengono questa posizione: secondo gli stessi il cibo italiano sta diventando un falso mito, differente se il nostro Paese fosse autosufficiente per tutti gli alimenti graditi ai consumatori ed evitasse con una diversa organizzazione strutturale di importare cibo, in alcuni casi di circa il 100%. Questo, secondo quanti sostengono questa tesi, accade per esempio per le paste ancora in parte (il 65%) importate dall’estero non avendo noi tutto il grano sufficiente nonché per i legumi con domanda crescente rispetto al passato. In Italia, le produzioni sarebbero diminuite grandemente negli anni Cinquanta in corrispondenza con il boom economico il quale spostò almeno migliaia di unità di forza lavoro dal primario all’industria, cosicché con le importazioni per rifornirsi si fa ricorso a Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, paesi del medio oriente, Cina. Anche per l’esportazione, che dovrebbe sostenere gli scambi e molti settori produttivi agroalimentari, la situazione è recentemente diventata più complicata a causa delle rinnovate sanzioni proclamate dalla UE nei confronti della Federazione Russa, soprattutto in relazione alla ortofrutticoltura e a una diversa visione dell’import-export della amministrazione degli Stati Uniti. Infatti il presidente Trump sta applicando il principio prima di tutto gli Stati Uniti, graduando con l’arma delle tariffe daziarie l’arrivo negli States dei nostri prodotti alimentari di eccezione, incominciando dai vini e dai formaggi.
In ogni caso, i dati statistici dicono che una grande guerra commerciale si è riaccesa, con la prospettiva che per i nostri prodotti di grande importanza diventi ancora più impegnativa a causa della globalizzazione la quale in agricoltura richiede sostanziali revisioni strutturali. In questa stessa guerra, l’impegno è massimo da parte dei nostri servizi doganali, dei Nas dei Carabinieri e delle altre istituzioni con compiti di controllo efficaci. Nei 12 mesi del 2017 sono di fatto stati bloccati 2925 prodotti falsi o taroccati in arrivo dall’estero. Secondo un’altra ripartizione, il blocco ha riguardato 256 articoli cinesi con mascherina , 194 provenienti dall’ India, 176 dagli USA, 171 dalla Spagna. Fra i generi sospetti o da temere per il consumo, il pesce spada ricco di metalli raccolti in mare, arachidi intrise di aflatossina provenienti dalla Turchia che si propone di entrare nella UE, nocciole che finiscono nella nostra pasticceria, polli intrisi di antibiotici in arrivo dalla Polonia. Anche pasta e riso nella graduatoria negativa occupano un posto di rilievo. Negli ultimi tempi, ripetutamente Roberto Moncalvo di Coldiretti ha atto notare che su quattro pacchi di pasta ben tre hanno la mascherina e giungono dall’estero, e che lo stesso accade per il riso importato a man salva e senza alcun dazio della UE dall’estremo oriente.
Non solo. Nel Forum di Cernobbio dello scorso è stato fatto notare che in Italia con 292 prodotti agroalimentari tutelati da Dop e Igp, in violazione vengono accreditati in Europa e internazionalmente formaggi con i nomi di fantasia più diversi come la zottanella, il cacio cavalo, il parmesan, il reggianello. Con la raccolta di firme dei consumatori in corso, Italia e Comunità dovrebbero finalmente far cadere la mascherina dei ladri di identità e di truffa ai danni dei nostri prodotti agroalimentari.
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