“Gente di Riso”, il viaggio (diventato libro) che Gianfranco Quaglia ha compiuto nel mondo della risicoltura piemontese, continua il suo cammino attraverso gli incontri con i lettori e i risicoltori. Dopo la presentazione ufficiale all’Est Sesia di Novara, la seconda tappa nell’azienda agricola la Fornace-Riso Rizzotti di Vespolate e l’incontro in libreria La Talpa-De Agostini di Novara, venerdì 22 alle 18 l’appuntamento è alla Feltrinelli Point di Arona. Il volume (edizione Decima Musa) è stato richiamato anche al Villaggio Coldiretti di Torino, con una presenza nello stand dell’azienda agricola San Maiolo di Novara, che ha voluto esporlo accanto alle varietà di riso, evidenziando il capitolo che riguarda l’antica fattoria, intitolato “Il posto delle lucciole”.
Di seguito pubblichiamo un contributo, che prende spunto da “Gente di Riso” ,per riflettere sui cambiamenti del mondo agricolo e della nostra società.
di Massimo Conocchia
Ho letto con piacere il saggio di Gianfranco Quaglia. Il libro – corredato da un’acuta prefazione di Bruno Gambarotta – si staglia e si dipana tra le pianure del Nord-Ovest, specificatamente tra Novara e Vercelli, le due realtà più significative, storicamente, nella produzione nazionale di riso. Non si tratta, però, di un testo sulla coltivazione del cereale, piuttosto di uno spaccato di una realtà sociale nella prima metà del Novecento, prima che l’avvento di meccanicizzazione, gps e droni togliessero, insieme alla fatica, molta poesia a un mondo alla moviola, in bianco e nero, di cui l’autore – e con lui molti di noi – sembra sentire profonda nostalgia. Ciò che colpisce nel lavoro di Quaglia – al di là della freschezza e immediatezza del narrare, in parte scontate conoscendo l’autore e la sua storia – è l’analisi di una realtà sconosciuta ai più e che mette in risalto un aspetto del Nord – tradizionalmente legato a benessere e sviluppo industriale –, che è fatto di fatica, di privazioni, di sfiancante lavoro fisico per una misera paga. Ma Quaglia riesce a mettere in rilievo non solo – direi non tanto – le ombre di quel mondo, quanto le magiche luci, quelle tinte pastello che raccontano di cascine a conduzione familiare, di famiglie patriarcali, di ragazze che stagionalmente lasciavano i paesi d’origine dell’Emilia per recarsi a marzo e settembre in Piemonte per la monda e la raccolta. Racconta di giovani donne con gli arti affondati nel fango, divorate dagli insetti, sfiancate da 10-12 ore di lavoro, ma che riuscivano a trasformare un mondo duro in qualcosa di accettabile, grazie a balli e canti improvvisati alla sera. Racconta di vicende umane e di solidarietà. Un Nord diverso, per certi aspetti non dissimile da altre realtà nazionali, prima dell’avvento del boom economico.
L’autore analizza quel mondo, gli interpreti e, magicamente, riesce a trasmettere al lettore non un’immagine monocromatica ma una policromia: è come se ci permettesse di filtrare la visione attraverso i raggi di un caleidoscopio. Solo utilizzando questa visione d’insieme, ci è permesso di cogliere, accanto al lavoro duro, l’impatto umano e la magia insita in quello stile di vita. La vita in quel luogo e in quei tempi non era facile – sembra dirci l’autore – ma in quel mondo c’era qualcosa la cui perdita e rarefazione ci ha portato verso il sacrificio di valori importanti, verso una progressiva disumanizzazione. La tecnologia e il benessere conseguente non sono stati in grado di ripagarci della perdita di quella poesia: oggi ci sentiamo più “poveri” perché diffidiamo del nostro dirimpettaio, perché, se bussa alla nostra porta, facciamo finta di non sentire, per paura, per essere ormai brutalmente avvezzi a diffidare di chiunque, per essere tremendamente soli. Gente di Riso racconta, in definitiva, un mondo perduto e con esso la storia dell’inaridimento progressivo di una società che persegue falsi miti. Giudicare tutto – a partire dalle scuole – alla luce di crediti e debiti, ha fatto sì che il calcolo prendesse il sopravvento su altre importanti categorie dello spirito, con l’ovvia, progressiva inflazione di valori importanti, oggi sottomessi scandalosamente alla logica del profitto, che deve prevaricare su tutto. La risaia rappresenta anche, in ultima analisi, un presidio, una salvezza per un territorio che, privatone, si arrenderebbe alla desertificazione.
La seconda parte del libro è dedicata al presente, alle innovazioni, alle nuove generazioni e al loro convincente tentativo di proiettare nel terzo millennio un’arte antica, coniugando tradizione e innovazione. Gente di Riso non è, dunque, solo storia di sacrifici e del lento cammino verso il recupero di condizioni economiche migliori, ma è anche la sintesi drammatica di come oggi il nostro mondo sia ridotto, di un progressivo e rapido viraggio verso una disumanizzazione sconcertante.
You must be logged in to post a comment Login