di Gianfranco Quaglia
Se l’appetito vien mangiando, anzi esplorando nuovi mercati, allora dopo la Cina viene l’India. Proprio così: Mario Francese, presidente di Airi (Associazione Industrie Risiere Italiane) non fa mistero dell’intenzione di un allargamento dei mercati pe il riso Made in Italy: “Siamo vicini a concludere con Pechini, dopo un lavoro che si protrae ormai da parecchi anni per consentire le esportazioni del nostro riso da risotto nella Repubblica cinese, oggi possibili solo in piccoli quantitativi grazie a triangolazioni con Hong Kong. Il negoziato che ha coinvolto Airi, Ministero delle Politiche Agricole e del Turismo, la nostra ambasciata a Pechino e le autorità cinesi, è proseguito tutto lo scorso anno fino a definire un testo condiviso che si è finalmente perfezionato nei giorni scorsi, con l’accettazione da parte cinesi dei metodi proposti da Airi per garantire l’assenza di insetti nel prodotto. Il ministro Centinaio e le autorità di Pechino potranno presto ratificarlo e dopo la firma organizzeremo una nuova visita di tre esperti cinesi per verificare le modalità applicative. Ci auguriamo di poter cominciare a esportare all’inizio del 2020 e gradualmente conquistare un mercato tra quei 50 milioni di cinesi della middle class che apprezzano la qualità e la sicurezza dei prodotti europei. Insomma, i cinesi che già sono innamorati di alcuni marchi italiani (Gucci, Armani, Prosecco ecc.) dovrebbero amare anche il nostro risotto. E’ un mercato aperto, che non dovrebbe avere condizionamenti di quantitativi. Poi lavoreremo per aprire il mercato indiano al nostro riso. Lì sarà più difficile, considerando che i dazi praticati raggiunge il 70% sul valore. Ma ci proveremo, perché non possiamo trascurare un potenziale di un miliardo e 300 mila persone”.
Se il risotto made in Italy è la nuova frontiera per incrementare il giro d’affari (ovviamente sostenuto anche da un allargamento della superficie coltivata nel nostro Paese) per Francese è essenziale anche difendere il mercato italiano ed europeo dalle importazioni e dalla concorrenza. “In questa situazione politico-economica in forte evoluzione, con la strategia “trumpiana” sui dazi, le reazioni cinese e europea, gli effetti della Brexit gestita malissimo, anche il nostro riso subirà un impatto negativo. Per questo noi chiederemo alla Commissione che il riso sia considerato prodotto sensibile. La clausola di salvaguardia che ha consentito di ripristinare i dazi all’import dai Paesi Eba è stata un grande risultato, più che ragioni economiche hanno prevalso considerazioni politiche riferite a quei Paesi che non rispettano i diritti umani. Ma nuovi pericoli sono in agguato. Negoziazioni aperte con Australia, India, Thailandia, i Paesi del Mercosur, con un import che comprometterebbe il reddito dei risicoltori, che potrebbero essere indotti ad abbandonare la coltura. In ogni caso l’industria chiede che l’import sia limitato al semigreggio, in modo da consentire il lavoro alle nostre riserie. La Commissione dovrebbe prendere atto che considerare il riso prodotto sensibile deve significare la sua esclusione da ogni nuovo negoziato analogamente a quanto fatto dal Giappone, che nel recente accordo di libero scambio con l’Ue, ha preteso che il riso non entrasse nell’accordo per proteggere la produzione giapponese. E all’orizzonte c’è ancora la formalizzazione dell’accordo già raggiunto con il Vietnam (76 mila tonnellate, di cui 16 mila di semigreggio e 60 mila di lavorato di cui 30 mila di riso aromatico).
Norme europee sull’utilizzo dei fitofarmaci. “Tropo restrittivi i limiti imposti dalla Commissione – osserva Francese – . Di fronte alla mancata autorizzazione o mancato rinnovo di un fitofarmaco la Commissione adotta una procedura che consiste nel revocare l’autorizzazione all’uso, prevedendo un tempo pe lo smaltimento delle scorte presso gli agricoltori e dopo un anno abbassa il limite di residuo nel prodotto su cui il fitofarmaco è stato utilizzato, prevedendo altri sei mesi per lo smaltimento di quello che abbia residui. Questa procedura è corretta per la maggior parte dei prodotti agricoli i cui tempi dal raccolto al consumo sono relativamente brevi, ma non può essere seguita per il riso che ha tempi dalla semina al consumo molto più lunghi. Teniamo conto che il riso immesso al consumo ha un termine di conservazione di 24 mesi. Per questo noi chiediamo il cosiddetto transitional period (periodo di transizione). Ed è necessario che gli agricoltori conoscano in anticipo i fitofarmaci la cui autorizzazione potrebbe essere revocata e evitino di utilizzarli anche se ancora leciti. Il Ferm (La Federazione dei trasformatori di riso) si è rivolta all’European Ombudsman (il difensore civico europeo), riteniamo che la Commissione abbia agito contro le regole”.
Etichettatura e burocrazia. “Le industrie italiane sono le prime interessate a soddisfare le esigenze dei consumatori. Ciò che Airi lamenta è la mancanza di consultazione nella predisposizione della legge che ha stabilito regole in alcuni casi poco chiare o ridondanti e aumentato inutilmente i costi delle aziende che hanno dovuto distruggere scorte di imballaggi non più s norma. Un altro fronte su cui Airi sta lavorando è la semplificazione amministrativa per esportare il nostro riso. Oggi siamo costretti a produrre troppi documenti”.
Consumi. “ Sono aumentati di circa il 25 per cento negli ultimi anni in Italia e del 7 in tutta Europa. Ciò è dovuto alla significativa presenza di immigrati e anche alla diversificazione dell’uso del cereale, finalizzata a derivati e prodotti industriali”.
Prezzi. “In questa campagna si sono rivelati soddisfacenti soprattutto per le varietà tipo tondo, che hanno addirittura superato le quotazioni del Carnaroli. L’unico regolatore che potrebbe stabilizzare le quotazioni dovrebbe essere rappresentato dai contratti di coltivazione, che garantirebbe i produttori. Ma l’industria non può impegnarsi di fronte alla volatilità del mercato”.
Nella foto: Mario Francese (prsidente Airi) con il direttore generale Roberto Carriere
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