Riso biologico, la Regione Piemonte torna al passato e detta regole precise, adottando norme restrittive e vincolanti. La trasmissione «Report» che ha squarciato un velo sul vero e falso riso biologico, chiama in causa operatori del settore e enti certificatori. Ma qual è la verità in Piemonte? Parla l’assessore all’agricoltura della Regione, Giorgio Ferrero, che tra l’altro è intervenuto in Consiglio regionale rispondendo a un’interrogazione presentata dal consigliere Minghetti sul tema specifico.
Il cambio di passo
«Innanzitutto il cambio di passo della Regione rispetto al recente passato». Nel novembre 2010 l’ex Giunta aveva deliberato deroghe rispetto al decreto ministeriali che prevedeva «il succedersi nel tempo della coltivazione di specie vegetali differenti sullo stesso appezzamento» (in altre parole la rotazione colturale per favorire la fertilità del suolo e la prevenzione delle malattie). Con la delibera veniva introdotta la possibilità che «il riso possa succedere a se stesso per un massimo di tre cicli, seguiti almeno da due cicli di colture di specie differenti». Un’apertura in contrasto con il decreto del Ministero che peraltro aveva chiesto l’annullamento della decisione della Regione Piemonte. Passo compiuto, questo, il 3 novembre di quest’anno con la revoca della Giunta regionale, che in pratica ha ripristinato la modalità della rotazione, fondamento-base per coltivare riso biologico.
L’assessore Ferrero contesta poi alcune cifre contenute in «Report» e nell’interrogazione: «Il dato statistico sulla resa/ha delle produzioni biologiche, tratto dal rapporto ‘’Bio in cifre 2014’’del Sistema nazionale sull’agricoltura biologica, risulta essere inferiore alla quantità di 67quintali/ha citato dalla trasmissione e dall’interrogazione. In realtà ilo valore della produzione stimata nel 2013 è pari a 570.217 quintali, a fronte di una superficie di 9.528 ha. Ebbene, la resa che si ottiene è di 59 quintali/ha, valore comunque inferiore rispetto alla media della produzione risicola convenzionale. Per quanto riguarda la produzione risicola bio quella della Lombardia incide per il 53,7% mentre quella piemontese per il 39,5». In Piemonte nel 2014 è aumentata del 23% (passando da 5390 ha a 6639) e non del 73% come riferito erroneamente».
Il tema dei controlli
«La normativa comunitaria – ricorda Ferrero – prevede che ogni operatore di agricoltura bio deve essere sottoposto a sistema di controllo. In Italia è stato affidato dal Ministero delle Politiche Agricole a organismi di controllo di tipo privato autorizzati. Le ispezioni devono essere programmate sulla base di un’analisi dei rischi, garantendo comunque una verifica completa annuale presso ogni operatore, più eventuali verifiche straordinarie, prevalentemente non annunciate. La vigilanza sugli organismi è esercitata dall’ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari del Ministero e per quanto riguarda la loro attività in Piemonte, da Regione, Province, Comunità Montane. In Piemonte l’attività di vigilanza è effettuata a campione direttamente dalla Regione presso gli organismi, mentre Province e Comunità svolgono controlli a campione presso gli operatori biologici». Insomma, una sorta di supervisione per verificare l’efficacia dell’operato degli organismi controllo».
Con il fiato sul collo
Altri dettagli: dal 2011 la Regione stipula un accordo con il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari per, per suddividersi l’attività di vigilanza evitando sovrapposizioni. E a questo proposito l’assessore sottolinea: «E’ stato segnalato pi« volte agli organismi di attribuire alle aziende risicole una classi di rischio elevata, in modo tale da determinare una maggiore pressione di controllo, anche analitico, presso questa tipologia aziendale». Come dire: controlli stretti e severi, in modo da far sentire il fiato sul collo. Ancora: «La FederBio precisa che tra il 2010 e il 2014 le aziende biologiche risicole sono state controllate in medi 2,15 volte l’anno, valore quasi doppio rispetto alla media italiana delle aziende bio. Quanto al controllo analitico emerge che il rapporto analisi di laboratorio/aziende controllate è doppio (40,81%) nel comparto riso rispetto al dato del bio italiano (21,24%). Infine ricordo che l’attività di controllo si integra con quella di altri enti (Assessorato ala sanità, carabinieri, ispettorato centrali della tutela qualità e repressione frodi). Vogliamo intervenire a tutto campo e coordinare l’azione anche con la Regione Lombardia, per uniformare maggiormente la gestione di una produzione agricola d’eccellenza, con l’obiettivo di dare precise indicazioni agli organismi di controllo affinché l’attività nelle aziende risicole sia gestita con maggiore efficacia».
Elena Ferrara: l’intervento della Regione deterrente all’elusione
Sul tema del riso bio e le iniziative della Regione Piemonte sono intervenute le senatrici democratiche Elena Ferrara, Maria Teresa Bertuzzi e Leana Pignedoli: «Apprezziamo azioni come quella operata dalla Giunta della Regione Piemonte, che, sebbene da poco insediata, ha abrogato a novembre la deroga alle rotazioni colturali previste per il biologico» dice la sen. Elena Ferrara. «Aver ripristinato questo obbligo derogato dall’amministrazione Cota – prosegue la senatrice novarese – costituisce un primo deterrente all’elusione delle regole del biologico». Una presa di posizione in linea con quella recentemente espressa da Ente Risi. «Condividiamo la risposta dell’assessore piemontese Ferrero aggiunge Bertuzzi – che propone un coordinamento tra Regioni per uniformare le produzioni agricole d’eccellenza. Lobiettivo principale è fornire opportune indicazioni agli Organismi di Controllo affinché la loro attività presso le aziende biologiche risicole venga gestita con maggiore efficacia, tenendo conto della loro specificità».
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