Si profila un nuovo pericolo per il riso made in Italy. Questa volta la minaccia arriva dall’India, che insieme con la Cina rappresenta la più grande risaia del mondo. Non solo: il 40 per cento dell’intera esportazione mondiale è indiana. Dopo uno stop durato dieci anni, la Commissione europea ha ripreso i negoziati con l’India per la definizione di un accordo di libero scambio. Traduzione: una valanga di riso potrebbe “invadere” l’Ue con effetti importanti anche sulla produzione del nostro paese, leader in Europa.
Nei negoziati precedenti era stata avanzata la richiesta di prevedere diversi contingenti di importazione a dazio zero che, se fossero concordati negli attuali negoziati, ridurrebbero ulteriormente lo spazio commerciale per il riso Lungo B comunitario, già ridotto a seguito delle continue concessioni daziarie da parte dell’Unione europea ai maggiori esportatori mondiali di riso. In particolare vanno ricordati Cambogia e Myanmar che – scaduta la clausola di salvaguardia – continuano a esportare in regime agevolato. Il cosiddetto “Lungo B” (chicco cristallino, lungo) è soprattutto utilizzato per contorni e insalate, quindi utilizzato da vaste fasce di popolazioni in tutta Europa.
Ente Nazionale Risi è intervenuto con una dura nota nella quale sottolinea che “le richieste dell’India devono essere rigettate non solo perché questo paese gode dell’esenzione del dazio per 8 varietà di riso semigreggio Basmati, ma anche perché nel 2022 sul portale del sistema di allerta comunitario RASFF sono risultate ben 42 notifiche sul riso importato dall’India (28% del totale delle notifiche sul riso), a causa della presenza di agrofarmaci (thiamethoxam, triciclazolo, carbendazim e clorpirifos) il cui impiego non è consentito nell’Unione europea”. Il Rasff (Rapid Alert System for food and feed) è il sistema di allarme rapido che interceta gli alimenti nocivi alla salute.
Non più tardi di un paio di mesi fa nell’ambito del Comitato permanente per piante, animali, alimenti e mangimi (SCOPAFF) non è passata la proposta della Commissione europea di innalzare il livello massimo di residuo del triciclazolo dall’attuale valore di 0,01 mg/kg allo 0,09 mg/kg per il solo riso d’importazione. Ora la Commissione dovrà passare dal Comitato d’appello e, se dovesse ottenere la maggioranza qualificata, potrà adottare la proposta che rappresenterebbe un’autentica beffa per la filiera risicola comunitaria perché nell’Unione europea rimarrebbe il divieto dell’utilizzo del triciclazolo per la coltivazione del riso, mentre il riso di importazione, in particolare quello indiano, godrebbe di un limite di 0,09 mg/kg.
Inoltre a settembre 2020 l’India ha inoltrato alla Commissione europea la richiesta per il riconoscimento dell’IGP “Basmati”.
“In punto di diritto – prosegue la nota Ente Risi – la richiesta indiana doveva addirittura essere considerata irricevibile, ma sta di fatto che, invece, è ancora operativa e, qualora riuscisse ad andare in porto, verrebbe presa in considerazione negli attuali negoziati con il rischio più che concreto di un accesso illimitato nel mercato dell’Ue a dazio zero per il riso IGP Basmati indiano”.
Paolo Carrà (foto) presidente di Ente Nazionale Risi: “Mentre i nostri risicoltori devono rispettare divieti e regole strette per l’uso di agrofarmaci, ci troviamo come sempre a dover contrastare la miopia della Commissione europea che dovrebbe difendere le produzioni Ue. La filiera risicola ha da sempre sostenuto la necessità di una reciprocità di regole circa l’impiego di fitofarmaci. Imbarazzante sarebbe il riconoscimento di una IGP sul Basmati utilizzando un termine generico, senza legami con il territorio, che è esattamente equivalente al Basmati di origine pakistana e che potrebbe, a fine percorso del negoziato di libero scambio, originare un’esenzione dal dazio per quantitativi illimitati”.
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