Fanghi di depurazione utilizzati per coltivare il riso? Il primo impatto potrebbe nascondere un’impressione negativa. Invece, al Centro Ricerche Ente Nazionale Risi di Castello d’Agogna (Pavia) si è dimostrato l’opposto. Anzi, l’uso agronomico dei fanghi di depurazione non solo migliora la produzione, ma anche la qualità del cereale. E a dimostrarlo sono i risultati di un esperimento pilota condotto da una quindicina d’anni in una azienda agricola di Pieve Albignola, che ha messo a disposizione il terreno per i ricercatori. Le conclusioni sono state presentate durante il convegno che si è tenuto al Centro Ricerche, sulla sperimentazione agronomica e attività sementiera per una risicoltura d’eccellenza. Una giovane ricercatice torinese, Eleonora Miniotti, (foto) in forza all’Ente Nazionale Risi, ha esposto dati e considerazioni del progetto testato, dalle ricadute sul suolo sino agli effetti sulla sicurezza alimentare. Dove è stato usato esclusivamente fango da depurazione la media produttiva è risulata superiore rispetto ai campi trattati insieme a fertilizzanti (urea e cornunghia); migliorato anche il fosforo presente nel terreno. E la concentrazione di contaminanti? «Leggero aumento delle percentuali di rame e zinco – dice Miniotti – ma al di sotto dei paramentri stabiliti dalla legge. Sul granello di riso non sono state trovare presenze di contaminanti». Un altro minerale, l’arsenico. «Questo è ristultato addirittura inferiore rispetto ad altre tesi trattate».
Come dire: Insomma, i fanghi fanno bene al riso. (g. f. q.)
You must be logged in to post a comment Login