di Gianfranco Quaglia
L’industria di trasformazione chiede agli agricoltori italiani di seminare 22 mila ettari in più di riso, passando da 220.000 dello scorso anno a 242.000 nel 2020. Un’indicazione precisa, che Airi (Associazione industria risiere italiane) motiva con l’aumento della domanda interna, spinta dalla richiesta dei consumi etnici (dovuta alla presenza di immigrati), dalla diversificazione verso prodotti innovativi e dalle esigenze dell’industria alimentare di seconda trasformazione, con un’attenzione particolare ai prodotti salutistici. Nel complesso il gruppo varietale che comprnde i cosiddetti “tondi” o risi da risotto dovrebbero contare su una superficie di 60 mila ettari, contro i 56.000 precedenti. Per alcune varietà l’industria stima un fabbisogno mirato: ad esempio sarebbero necessari 6 mila ettari pe ril comparto del Lido. Per quanto riguarda il mercato del lungo B (profilo Indica, cristallini, non da risotto) l’analisi suggerisce una superficie di 58 mila etari contro i 52.000. “Lo spazio di mercato potrebbe essere di gran lunga maggiore – dice una nota dell’Airi – ma la stima del consiglio di presidenza ha tenuto conto della necessità di una stabilizzazione degli effetti positivi della clausola di salvaguardia”. In altre parole: il ripristino dei dazi all’import dovrebbe limitare gli squilibri concorrenziali. E i prezzi? Nella campagna di commercializzazione ancora in corso le quotazioni dei risi da interno sono abbastanza soddisfacenti anche per effetto di una forbice larga domanda-offerta. Sul futuro delle quotazioni l’industria è prudente: potrebbero essere condizionate dall’andamento climatico che influenza la qualità, ma anche da scelte politiche uali modifiche ai regimi daziari, Brexit, concessioni bilaterali, Pac, volatilità dei mercati finanziari.
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