L’aberrazione è stata raggiunta a Vienna, dove va di moda il Salsicciotto Falcone grigliato. In Spagna, invece, c’è voluta l’indignazione di uno studente italiano che frequentava l’Erasmus perché il Tribunale dell’Unione Europea intervenisse e desse torto alla catena di ristoranti dal titolo inequivocabile: “La Mafia se siente a la mesa” (La Mafia si siede a tavola). Ma non è ancora finita, perché gli spagnoli hanno due mesi di tempo per presentare ricorso alla Corte di Giustizia e chiedere la riabilitazione di slogan e marchio evocativi, diventati attrazione turistica. Come “Palermo mafia shooting, stile italiano”.
Questi esempi rappresentano gli eccessi e i pradossi di un fenomeno che fa molto male all’immagine italiana e che Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato scientifico Osservatorio Agromafie ha denunciato in più occasioni, l’ultima al Circolo della Stampa di Torino dove si è tenuto un seminario formativo per giornalisti sotto il titolo “Le bufale nel piatto, come comunicare il buon cibo”. Il richiamo al peggio dell’italianità non è l’unico male di un vasto sistema criminoso che comprende anche il cosiddetto “Italian sounding”, cioè la scopiazzatura del Made in Italy che fattura nel mondo 60 miliardi, ai quali occorre sommarne altri 22 gestiti direttamente dalle agromafie nel nostro Paese.
“Un siluro sotto la linea di galleggiamento dell’agroalimentare italiano” lo ha definito Caselli. Altri numeri: in Italia 5 mila ristoranti controllati da organizzazioni criminali e 300 mila posti di lavoro persi ogni anno a causa della concorrenza scorretta in altri Paesi. La competizione spietata non ha confini: la Cina avrebbe contribuito a distruggere la produzione di pmodori in cui è ricca la Nigeria, costringendo i nigeriani a emigrare in Italia, dove finiscono per alimentare il fenomeno del caporalato.
Tanto basta per dire basta e richiamare l’attenzione di tutti coloro che hanno a cuore il buon cibo, a cominciare proprio dai consumatori, i quali devono essere messi nelle condizioni di scegliere prodotti sicuri, ma soprattutto informati, come ricorda Rolando Manfredini responsabile Sicurezza alimentare Coldiretti. Tre italiani su quattro credono alle fake news alimentari, le notizie false: ad esempio che il latte fa male e che il l’ananas brucia i grassi. Niente di più errato, sottolinea Giiorgio Calabrese, il noto docente di nutrizione umana, il quale aggiunge: attenzione, si mangia soprattutto per non ammalarsi. E ancora: mi preoccupano quei medici che dicono stupidaggini e dei non medici che affermano le stesse cose.
Maria Caramelli, direttore dell’istituto zooprofilattico Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, sottolinea che al posto delle bufale nel piatto sarebbe bene mettere più scienza, più ricerca e safety a favore dei consumatori. Per fortuna qualche buona notizia è a nostro favore: negli Usa la possiblità di trasmettere malattie da cibo è dieci volte superiore che in Italia.
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