di Enrico Villa
I tre anni accordati dall’Unione Europea sono trascorsi. E il 16 dicembre 2016, data ultima concessa, tutti i prodotti alimentari dovranno recare l’etichetta segnalando grassi, acidi grassi saturi che secondo la sanità mondiale fanno male, carboidrati, zuccheri, proteine, sale, valore energetico. Gli Stati Uniti, che starebbero guardando in cagnesco l’Europa commerciale e del libero scambio, fanno di più. Sulle loro Nutrition Facts, che figurano sugli alimenti per preservare la salute degli americani e combattere l’obesità dilagante, sono anche elencate in bella vista le calorie, il colesterolo, le vitamine, il calcio, il potassio, il ferro. Le corporazioni d’Oltreatlantico hanno reagito per la progettazione di ulteriore severità della nuova amministrazione federale.
Nel vecchio continente, in base al regolamento UE n.162/2011, dovrà anche essere segnalata la provenienza della merce con un doppio scopo: proteggere i produttori agricoli italiani e degli altri 25 paesi partner dai tarocchi che fanno una criminale concorrenza sleale; e, soprattutto, come vogliono Coldiretti e le altre categorie agricole, sostenere la esportazione degli alimenti made in Italy che con il rinnovo europeo delle sanzioni nei confronti della Federazione Russa hanno subito un altro colpo mortale. In una parola: da domenica 16 dicembre nei mercati rionali e nei supermercati quanto servirà per il pranzo di Natale e il cenone di San Silvestro dovrà essere contraddistinto da etichette complete e ben leggibili. Faranno eccezione le microconfezioni preparate nei supermercati con queste dimensioni: inferiori ai 25 centimetri; e la frutta fresca, gli aromi, gli additivi alimentari, i coadiuvanti tecnologi, gli enzimi, le gelatine, i lieviti. Però attenti alle sostanze allergeniche cui, tuttavia, i comparti commerciali e dei bar si sono già abituati da qualche mese.
Non solo: anche gli spaghetti fumanti che finiranno in tavola il 25 dicembre o nella notte di San Silvestro dovrebbero essere accompagnati dalla indicazione di provenienza oltre alle altre informazioni riguardanti il grano italiano. La richiesta era stata fatta durante la crisi del grano a causa di prezzi troppo bassi di qualche mese fa. E il Governo Renzi l’ha accolta, predisponendo un decreto simile a quello del latte e dei formaggi. Visto il dispositivo approvato dalla Ue, al più tardi il decreto dovrebbe entrar in vigore entro il primo gennaio 2017, come hanno confermato il presidente del Consiglio Renzi, il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda e quello delle politiche agricole Maurizio Martina. E il riso? Il quesito è sollevato da Confagricoltura anche in relazione al pressing internazionale esercitato dai cereali proveniente dall’Asia i quali mettono in grave pericolo la risicoltura europea che comprende Italia primo paese risicolo, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria, Ungheria. Nel mese di gennaio per iniziativa dell’Ente Nazionale Risi, presieduto da Paolo Carrà, questi stessi paesi si ritroveranno in un summit a Milano per stabilire una strategia internazionale con cui contenere i risi asiatici, responsabili della discesa preoccupante delle quotazioni in Italia e in Europa. L’importanza soprattutto della risicoltura italiana, che fa capo all’Ente Risi, è stata evidenziata da Confagricoltura con questi dati: circa 234 mila ettari con un consumo pro capite di 6 chilogrammi, 4.265 aziende agricole che danno lavoro a 5.000 addetti, circa 100 industrie risiere con sei di queste che detengono complessivamente più del 50% del mercato, giro di affari di un miliardo di euro. Per l’articolata filiera del riso, estesa nella Pianura Padana, in Sardegna e in Calabria il riferimento è rappresentato dall’Ente Risi. Proprio l’Ente Risi, già con diversi compiti di tutela della risicoltura, secondo Confagricoltura faciliterà i provvedimenti di provenienza previsti per il grano e per la pasta.
Anche la patria degli spaghetti e dei formati corti, in Italia con un consumo pro capite di 28/30 chilogrammi pro capite offre statistiche di tutto rispetto, così come ribadite da Coldiretti. Infatti, il grano duro per la pasta e tenero per i pane si coltiva in Italia su 2 milioni di ettari con 100 mila aziende dai quali provengono i grani insidiati dalle produzioni statunitensi, canadesi e di alcuni paesi europei, Ucraina in primo luogo. Il crollo dei prezzi di mesi fa ha provocato sul “granaio italiano” un danno di 700 milioni di euro, anche avviando soprattutto in Puglia il fenomeno della desertificazione territoriale con altri danni e il crollo dei prezzi dei terreni. Come con il latte e i formaggi le cui quotazioni non compensano il lavoro e gli investimenti, la stessa cosa accade per il grano. Già la legge n.204 del 3 agosto 2004, sostenuta a suo tempo da un milione di firme dei consumatori, aveva fissato la provenienza di origine di grano e farine, ma l’obbligo è stato cancellato dal Parlamento Europeo in sede di approvazione del Regolamento sulle etichette che, appunto, entrerà definitivamente in vigore domenica 16 dicembre. Ma produttori e consumatori non ci stanno. Forse già a Natale 2016 spaghetti e corti, simbolo immateriale dei territori italiani secondo l’Unesco, sapremo finalmente da dove provengono questo alimento, cosi popolare in Italia, e dove stanno le fabbriche nazionale di lavorazione.
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