Il titolo apparso su un quotidiano “Siccità, per un chilo di riso 3.400 litri d’acqua: la lotta per fermare lo spreco nei campi” ha destato polemiche e proteste nel mondo della risicoltura, che si è sentita ancora una volta ingiustamente messo sotto accusa. Su questo tema interviene l’Associazione Irrigua Est Sesia di Novara (direttore Roberto Isola, presidente Giuseppe Caresana), con una lunga presa di posizione che pubblichiamo di seguito.
“Emerge ancora una volta l’errato concetto di considerare gli utilizzi di acqua da parte delle colture agricole in termini di volumi assoluti e non di flussi, mantenendo così in capo alla agricoltura irrigua la nomea di “sperperatrice” di preziosa risorsa irrigua.
Parlando di consumi idrici in agricoltura, diventa quindi quasi naturale fare riferimento alla coltura irrigua per eccellenza: il riso, ancora una volta accusato di eccessivo consumo di acqua proprio in un periodo in cui l’acqua scarseggia e non solo per il comparto agricolo.
In Italia, dove la millenaria coltivazione del riso rappresenta un “unicum” per lo stretto legame tra risorse idriche impiegate ed il territorio dove lo si coltiva, il concetto di “water footprint” evidenzia tutti i suoi limiti trasmettendo informazioni inesatte e fuorvianti che mal descrivono la realtà di un territorio prezioso anche dal punto di vista ambientale.
La risaia, grazie alla possibilità di riutilizzo per più volte delle medesima acque e della restituzione finale in Po, rappresenta la coltura che meglio di ogni altra ottimizza l’uso delle risorsa idrica con tecniche di irrigazione tradizionali.
In primo luogo, va detto che le risorse idriche utilizzate in risicoltura non sono in concorrenza e, quindi, non vengono sottratte agli altri usi (idropotabile, idroelettrico, , industriale, ecc. ecc.).
I bacini idroelettrici rappresentano, infatti, i primi grandi utilizzatori della risorsa idrica del bacino padano, mentre le derivazioni irrigue a servizio della risicoltura, poste a valle dei grandi sistemi di invasi e centrali, non ne influenzano il funzionamento, mentre, come è noto, ne risultano fortemente condizionate.
Le medesime acque, dopo aver prodotto consistenti quantitativi di energia idroelettrica e, quindi, dopo aver perso semplicemente quota ed energia potenziale, diventano disponibili per tutti gli altri usi.
Inoltre, la necessità di procedere alla sommersione delle risaie all’incirca nei mesi di aprile e maggio, consente di utilizzare acque mediamente abbondanti, grazie alle precipitazioni primaverili e allo scioglimento delle nevi a quote basse, che altrimenti defluirebbero in Adriatico, senza beneficio alcuno.
Il meccanismo di funzionamento del sistema è facilmente schematizzabile: le acque prelevate dai fiumi vengono tradotte dalla rete dei canali ad un primo utilizzo per la sommersione di una prima fascia di terreni a risaia. Immediatamente dopo le medesime portate sommergono altre porzioni di territorio e, nel contempo, si attiva il recupero e successivo riutilizzo sia delle cosiddette colature superficiali, sia delle acque percolate in falda (che vengono riprese dalla rete di fontanili e canali drenanti), consentendo così il riuso per più volte delle medesime acque per la sommersione e per il mantenimento di altre risaie più a valle.
Senza avere la pretesa di fornire dati scientificamente provati, è tuttavia possibile dare qualche numero a supporto quanto sopra delineato.
Considerando un bilancio idrico effettuato per una singola azienda risicola o a livello di camperia, si rilevano consumi specifici medi dell’ordine di 2,5 litri/secondo per ettaro; mentre stime a livello comprensoriale indicano un consumo di circa 1 litro/secondo per ettaro. La sensibile differenza è spiegabile solo con la possibilità di recupero e successivo riutilizzo sia delle cosiddette colature superficiali, sia delle acque percolate in falda che vengono riprese dalla rete di fontanili e canali drenanti.
Non è quindi possibile, né tantomeno corretto, valutare l’impiego delle risorse idriche in risicoltura sulla base dei volumi impiegati a livello di una singola “camera di risaia” o di azienda agricola, tentando magari una estrapolazione a scala maggiore per ottenere dati con validità comprensoriale.
Un approccio sicuramente più realistico si deve basare sulla valutazione dei flussi idrici impiegati durante l’intera stagione e su un vasto comprensorio o, ancor meglio, a livello di macro comprensorio risicolo.
Nessuna altra coltura e nessun altro sistema irriguo (anche se innovativo e, apparentemente, in grado di ridurre i fabbisogni idrici) è in grado di garantire tali “performances” a livello di comprensorio irriguo, tenendo presente che alla risaia basta un “filo d’acqua” per assicurare la riuscita del raccolto.
Occorre a questo punto evidenziare un altro vero “punto di forza” della risicoltura padana: la funzione di accumulo di acqua nella falda freatica operata dal sistema risaie – canali.
Infatti nei territori risicoli, l’altezza della falda freatica rilevata da pozzi e piezometri subisce, tra l’inizio della sommersione ed il suo completamento, variazioni sostanziali, che vanno da alcune decine di centimetri, a oltre 1 metro e nei casi più significativi anche di oltre 2 metri.
Detti incrementi della falda danno evidenza di come gli strati di terreno al di sotto delle risaie sommerse rappresentino un gigantesco bacino di accumulo di risorsa idrica. In termini molto elementari, la sommersione della risaia si traduce nell’ “imbibire” il sottosuolo di grandissime superfici di terreno come se fosse una enorme “spugna”.
I rilevanti volumi d’acqua accumulati, vengono poi restituiti ai fiumi ai quali erano stati “sottratti” e in definitiva al fiume Po, “in differita” e molto lentamente, come riscontrabile dall’analisi dei dati ufficiali rilevati dal sistema di monitoraggio idrologico delle Regioni Piemonte, Lombardia e di AIPO.
Tale fenomeno, quindi, si traduce in una mitigazione degli effetti delle magre su tutto il corso del fiume PO, che si generano normalmente nei mesi più caldi e con precipitazioni scarse (giugno, luglio e parte di agosto).
Gli effetti benefici di tali restituzioni si registrano sia a vantaggio degli ecosistemi fluviali del Po, che possono così beneficiare di portate assai più abbondanti del Deflusso Minimo Vitale (DMV), sia a vantaggio dei prelievi irrigui di valle. Non va trascurato anche l’effetto di efficace contrasto alla risalita del cuneo salino nel tratto di Po prossimo al delta.
Pertanto, la costanza del flusso idrico consentito dalla alimentazione in cascata delle risaie, che si fonda sul metodo tradizionale della sommersione permanente, rappresenta il sistema che rende massima la superficie di terreno coltivata a risaia, con il minor quantitativo d’acqua possibile, e costituisce un fattore regolarizzante per le portate del Po in periodi di magra, a beneficio delle utilizzazioni irrigue dipendenti dal fiume Po nell’area sud orientale della Lombardia, in Emilia Romagna e in Veneto.
Ne consegue che la tradizionale coltivazione del riso in sommersione estesa per circa 200.000 ettari (dati Ente Nazionali Risi) consente il riutilizzo per più volte della medesima acqua e la restituzione finale ai fiumi dai quali era stata prelevata, a meno del quantitativo evapotraspirato”.
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