L’assemblea di Confagricoltura di Entraque, provincia di Cuneo, sabato 30 giugno ha rilevato: le coltivazioni dei piccoli frutti industriali, fra i quali le erbe officinalis, sono in espansione. Anche sul suo web, la Regione Piemonte dedica molto spazio ai piccoli frutti e alle piante officinalis, non una scelta della moda salutistica bensì una scelta economica che riguarda una intera filiera in Italia sviluppatasi dalla legge 99/1936 quando le erbe selvatiche, che si trovano ovunque nei prati e in montagna, erano una passione per soli estimatori i quali credono alle virtù terapeutiche dei vegetali. Nella regione subalpina le aziende sono più di 200 dislocate nel Novarese e nell’Alessandrino.
Anche le statistiche danno ragione agli esperti e ai ricercatori anche farmaceutici in ripresa nelle università italiane e negli istituti pubblici. Nel 2013 i ministeri delle Politiche Agricole e della Sanità in collaborazione con l’Ismea sulle erbe officinalis hanno attuato una monografia specifica che ha spiegato come le erbe abbiano in Italia, in Europa e nel mondo un significato economico da non trascurare, che si intreccia con la storia dell’umanità. Che probabilmente sia così, limitatamente al nostro Paese, è rappresentato da una cifra sulla quale riflettono i più qualificati studiosi di problemi economici: in Italia il consumo di erbe officinalis è progressivamente elevato nei comparti medicinali, aromatici, dei cosmetici e dei profumi, ma mancando da noi la materia prima negli ultimi anni le importazioni dall’estero si sono attestate intorno al 70% circa come evidenziano i ministeri nazionali e la stessa Fao. Le provenienze sono dalla Germania e dalla Francia, che in questi decenni hanno saputo meglio attrezzarsi, vendendo come in Provenza le coltivazioni di erbe officinalis da un punto di vista anche turistico, ma soprattutto dall’India, dalla Siria, dalla Bulgaria, dalla Cina, dall’Iran, dall’Egitto, dal Marocco, dalla Turchia. Diversamente dall’Italia, in questi paesi le erbe non sono neppure chiamate officinalis bensì appunto semplicemente erbe con le coltivazioni nonché con le relative tecniche sorrette da una antichissima tradizione la quale concede credito alle proprietà medicinali e farmaceutiche di molti di questi stessi vegetali. La battaglia anche scientifica delle erbe officinalis rispetto alla chimica e alle sue sintesi di laboratorio, va avanti con alterni successi da almeno un secolo. Proprio cento anni fa, o giù di lì, in Italia le erbe furono chiamate officinalis per la loro lavorazione nelle officine, vale a dire nelle antiche farmacie che oggi sono pressoché scomparse cancellate dalle moderne strutture commerciali, se si eccettua la grande distribuzione dove la loro vendita è ancora considerata un buon affare. In ogni caso, in Piemonte le erboristerie che vendono erbe officinalis sono oltre 4 mila con un incremento di 39 calcolate nel 2015.
Tuttavia, le antiche farmacie in grado d lavorare le erbe officinalis sono in parte sostituite dalle erboristerie che nel nostro Paese sono, come accennato, ormai più di quattromila, caratteristica importante della filiera agronomica specifica. Superato il loro periodo di crisi a metà del 2015/2016, il loro sviluppo è ripreso su altre basi, con la richiesta di una maggiore specializzazione del personale addetto. Infatti, si insiste sulla complessità del mondo delle erbe offinalis, anche con la considerazione che per la gestione di alcune erboristerie vi dovrebbe essere la conoscenza tecnica di un agronomo o di un farmacista. Per adesso l’unica scuola di specializzazione è a Monza. Una pubblicazione qualificata dedicata ai problemi della erboristeria, annota inoltre che le vendite in erboristeria crescono dell’1% su base annua come sta accadendo per altri comparti agroalimentari, e che questa è la prova della importanza delle coltivazioni e della vendita di erbe officinalis. In termini produttivi, come richiamato dai ministeri competenti italiani: ogni anno lo smercio di erbe officinali, appunto al 70% in arrivo dall’estero, è intorno alle 25 mila tonnellate che prendono la via delle industrie farmaceutiche e della industria dei cosmetici, in Italia intorno alle 221 unità.
Nella sua monografia sulle erbe officinalis, i ministeri delle Politiche Agricole nonché della Sanità e l’Ismea ragguagliano anche sulla consistenza della materia prima, per nostra semplicità limitandoci a camomilla, lavanda, melissa, malva, timo, rosmarino, menta piperita, ortica, fiordaliso, tropeolo, finocchio, maggiorana, basilico, passiflora, origano i quali sempre più anche prendono la strada della cucina e della gastronomia talvolta diventando, secondo i cuochi, insostituibili condimenti. Però, sempre richiamati dagli autori della monografia ministeriale, la via lattea delle erbe officinalis in Italia è smisurata: fra le 20.000 e le 100.000 specie, molte delle quali note soltanto agli appassionati. Di queste, 296 specie sono coltivate con queste percentuali: 160 specie, di cui il 54% circa messe a coltivazione o progettate, e 73 (il 25%) utilizzabili da quanti vorrebbero ricreare gli antichi orti dei semplici medioevali dai quali arrivò il riso. Ma sulla Terra, sempre stando alla ricerca ministeriale e della Ismea, le erbe officinalis sono in realtà circa 397.000 che quotidianamente arrivano al 70% nel nostro Paese soffocando le imprese specializzate, e qualche volta condizionando anche le oltre 400 mila erboristerie dove – sostiene il ministero delle Politiche Agricole – occorrerebbero piani di formazione e di consulenza. Forse, soltanto in questo modo le erbe officinalis in Italia con aziende sempre più specializzate, potrebbero diventare una sicura piccola miniera d’oro.
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