Oltre un milione e mezzo di bottiglie prodotte nel 2013, 17.700 ettolitri di vino, 17 mila quintali di uva. L’Erbaluce di Caluso si conferma il vino che maggiormente rappresenta la vitivinicoltura torinese. La coltivazione è su circa 190 ettari del Canavese. Nella sede dell’AIS (Associazione italiana sommellier) a Torino, le aziende di Confagricoltura hanno presentato la produzione che viene messa in commercio quest’anno: il fermo 2013, i millesimati per lo spumante metodo classico e i passiti e passiti riserva. “Una sorta di anteprima – ha detto il presidente di Confagricoltura Torino Paolo Dentis – che Confagricoltura può realizzare grazie alla presenza, tra i propri associati, delle aziende di riferimento per la produzione di Erbaluce. Qui si presentano 40 vini, un’occasione davvero unica, impreziosita dal servizio dei sommelier AIS. E’ la prima iniziativa del programma di promozione 2014 che Confagricoltura realizza con il supporto della Camera di commercio di Torino”.
Il 2013, che ha riportato un sostanziale equilibrio in termini di periodo di raccolto e di volumi, dopo anni di vendemmie anticipate e quantitativamente ridotte, ha consegnato un vino di ottima qualità e grande freschezza. La tipologia Fermo è la più diffusa, seguita dallo Spumante (Metodo classico e Charmat) e dal Passito, un tempo principale espressione vinicola della zona di Caluso. <La nostra associazione – aggiunge Mauro Carosso, delegato AIS Torino – è da sempre impegnata non solo nel servizio del vino, ma soprattutto nella valorizzazione e nella comunicazione. L’Erbaluce riveste un ruolo di primo piano nell’economia agricola della provincia di Torino, in particolare nel Canavese>.
L’Erbaluce rappresenta quasi la metà dell’intera produzione vinicola del Torinese, che annovera anche le doc Canavese, Carema, Freisa di Chieri, Collina Torinese, Pinerolese e Valsusa. Il valore complessivo del prodotto, tra fermo, spumante e passito, è di oltre 8 milioni di euro per l’ultima annata. L’andamento delle vendite risente della crisi, soprattutto in Italia. Soffrono di meno quelle aziende che hanno diversificato i mercati, posizionandosi all’estero, Stati Uniti soprattutto, ma anche Nord Europa. La quota export si aggira intorno al 25% dell’intera produzione.
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