di Gianfranco Quaglia
Quando lo vide sfrecciare (sarebbe più onesto dire arrancare) sui tornanti della Valle Vigezzo, ai confini con la Svizzera, il volto stravolto dalla fatica, chino e spossato sul manubrio della bicicletta, Benito Mazzi ne rimase folgorato. Aveva soltanto 9 anni, il ciclista che gli passava accanto portava a termine quella tappa di montagna del Giro d’Italia 1947 ed era a sei ore da Fausto Coppi. Non chiudeva neppure la fila, faceva buio, i corridori erano già negli alberghi della Valle e pensavano alla tappa del giorno seguente. Ma lui, Luigi Malabrocca, con pervicacia aveva inseguito il sogno dell’ultimo arrivato, forse per essere immortalato nella storia, in una leggenda al contrario.
Benito Mazzi, nato a Re, ai piedi del santuario della Madonna, non sapeva ancora che un giorno avrebbe scritto un libro dedicato a quel solitario. Ma da quell’abbaglio forse nacque la sua vocazione per gli ultimi che diventano primi. Se ne è andato pochi giorni fa Benito, aveva 83 anni e per una vita si era dedicato alla letteratura e al giornalismo. Per oltre trenta era stato direttore del settimanale “Eco dell’Ossola-Risveglio”, ma il suo curriculum parla anche di una prolifica attività letteraria, tutta rivolta ad esaltare la gente e le gesta della sua valle, al riscatto di un popolo di montanari, scalpellini, frontalieri, spazzacamini sparsi nel mondo. Persino dei contrabbandieri, gli “spalloni” che per guadagnarsi da vivere o integrare il bilancio si sono dedicati per decenni alle attività “di sfroso”, come lui scriveva, tra Italia e Canton Ticino. Memorabile un suo racconto, “Nel sole zingaro”.
Senza retorica, era riuscito a portare in libreria titoli tradotti anche all’estero e guadagnarsi la stima della critica che gli ha riconosciuto il merito di non essere uno scrittore locale, ma “glocal”, con la capacità di esaltare anche il dialetto della sua valle. Aveva aperto anche una libreria a Santa Maria Maggiore e conservato lo stupore di ragazzo affamato di curiosità, come quel pomeriggio in cui si trovò di fronte al ciclista perdente che sarebbe diventato eroe nel libro “Coppi, Bartali, Carollo e Malabrocca”. Lunga la lista dei riconoscimenti: tra gli altri due volte il Premio Bancarella Sport, il Premio Cesare Pavese, il Premio Gambrinus Giuseppe Mazzotti riservato alla letteratura di montagna, che nel passato era stato attribuito a Konrad Lorenz, Luis Sepoulveda, Tiziano Terzani, Rheinold Messner, Cesare Maestri e Giuseppe Cederna.
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