di Enrico Villa
La Regione Piemonte due anni fa, nell’agosto 2013, dedicò assieme all’Università di Torino un convegno a Grugliasco (Torino) e a Valgrisenche (Aosta). L’argomento-guida era: come applicare in montagna la pianificazione degli alpeggi e, nelle stesse zone, l’applicazione della politica agricola europeo. E il suo sostegno esecutivo fu delegato all’importanza delle politiche di sviluppo rurale. Nella circostanza, i relatori della Regione Piemonte e dell’Università di Torino tracciarono le prime indicazioni sulla zootecnia di montagna e il suo futuro, anche rappresentato dalle razze deboli di bovini e di ovicaprini a rischio di indebolimento genetico e di sparizione, da contrastare con piani precisi e interventi finanziari regionali. Solo in Piemonte gli ovicaprini sono poco meno di duecentomila unità.
L’idea nata a Torino
Sia a Grugliasco che a Valgrisenche, gli specialisti elencarono le razze di caprini adatte alle fattorie di montagna a rischio di abbandono. Fra di queste, le razze Sempione, Vallesana, Roccaverana che con il loro latte danno prodotti caseari di eccellenza, fra i quali i formaggi dop. In questo elenco, con un chiaro valore socio-economico per le aree alpine, mancava la razza Saanen, di origine svizzera, bianca di mantello e di taglia molto grande, produttrice di buon latte dal quale trarre formaggi, yogurt in aziende agricole attrezzate, con i titolari dotati di spiccata intraprendenza imprenditoriale. In quegli stessi anni del convegno di Glugliasco e di Valsigrenche, due torinesi con le radici di famiglia a Mollia, nell’alta Valsesia ai piedi del Monterosa, avevano iniziato ad allevare la capra Saanen sotto la Mole Antonelliana. Evidentemente questo non sarebbe stato possibile a lungo. La coppia rimise quindi gli occhi sulla Valsesia dei propri avi. E a Mollia (adesso 104 abitanti, oltre cinquecento nell’anno dell’unità di Italia, sindaco Claudio Romagnoli) in antiche strutture immobiliari i due fondarono la Fattoria Le Beline. Le capre bianche passarono da un decina a quaranta, e Le Beline in Piemonte e in Italia acquisirono una grande notorietà. Nella primavera 2009, al Lingotto Fiere di Torino, la Fattoria Le Beline fra una decina di fattorie italiane che avevano intrapreso la strada dell’agriturismo integrale (circa 20.000 imprese nel nostro Paese) ebbero la classificazione di best cases, cioè il riconoscimento di azienda multifunzione, alimentazione e agriturismo, con caratteristiche davvero da manuale. Nel frattempo, dalla struttura aziendale uscirono i formaggi tratti dalla capra Saanen, quindi gli yogurt e altri prodotti caseari di pregio.
Fattoria Le Beline
Non soltanto. La Fattoria Le Beline ha avuto il riconoscimento ulteriore di fattoria leader. L’azienda turistica della Valsesia e di Vercelli, presieduta dall’albergatore vercellese Paolo Melotti, ha promosso la visita del pubblico della Fattoria Le Beline aprendo così un ventaglio di spunti e circostanze che vanno dal puro agriturismo alla cultura del territorio, fatta di tracce storiche e di tradizioni da recuperare alla memoria. Con diversi riferimenti, scarsamente noti al grande pubblico, che vanno dalle tracce della immigrazione dalle Svizzera alle aree del massiccio del Monterosa del popolo walser, bonificatore di una vasta zona con la propria agricoltura e la propria urbanistica. E che anche comprendono in Valsesia i secoli sedicesimo e diciassettesimo, così ben evocati dal compianto Sebastiano Vassalli appena scomparso, nonché dall’antropologo Sergio Gilardino. A lungo Gilardino dalla sua cattedra dell’Università canadese parlò della Valsesia, di Walser e dei loro usi e costumi che oggi hanno lasciato tracce su questo territorio il quale comprende la alta Valsesia facendo anche capo a Mollia e Alagna. Gli stessi secoli sono stati evocati nell’ultimo tour istituzionale con base di partenza la Fattoria Le Beline, appena organizzato dall’agenzia valsesiana e vercellese del turismo il 17 e il 20 agosto. Oppure anche richiamato dalla ultima edizione della bella rivista online In Valsesia.
Le calzature di feltro
La legge quadro sull’ agriturismo, che assegna compiti operativi alle regioni, precisa che occorre partire dall’agricoltura e dalle sue produzioni per compiutamente conoscere e valorizzare, anche ad opera degli imprenditori agricoli, quanto esiste effettivamente sul territorio. Ed infatti, partendo da Le Beline e dai suoi prodotti, a Mollia e dintorni ci si trova di fronte ad un prezioso mulino del Seicento, ad una chiesa barocca con una magnifica via crucis, ad una casa del Settecento con marcati pregi urbanistici, all’Ecomuseo. Da qui ci si può fare l’ idea di un’agricoltura che sta scomparendo, dove ancora, fra l’altro, si lavorava la canapa. Le calzature di feltro con suole di canapa, utili anche per camminare sulla neve dei valligiani, sono state recuperate ampiamente dagli Atellier della moda di oggi e continuano più che mai a fare tendenza. Ma il consumatore di adesso in genere non lo sa a meno che, appunto, non visiti la Fattoria Le Beline e culturalmente con la visita riscopra un mondo quasi sepolto, socialmente e storicamente prezioso.
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