Che cosa farò da grande? Il pastore. Non è un’utopia o una provocazione. Semplicemente è una vocazione che si sta manifestando anche fra giovani con laurea in tasca. L’identikit del pastore del Terzo Millennio diverge dalla figura oleografica che immortala il guardiano di pecore, bastone fra le mani, cane che accudisce il gregge. Ci consegna un giovane con lo smartphone, conoscitore dell’ambiente, nutrito di informazioni zootecniche, forte di un bagaglio culturale che unito alla passione fa del giovane allevatore un professionista lontano dall’immagine bucolica e arcaica. Preparato da corsi di formazione che stanno nascendo un po’ in tuta Italia. Una di queste è a Paroldo, nelle Langhe. Ma l’iniziativa aperta da “Rete Appia”, associazione costituita tre anni fa, si rivolge a tutto il territorio italiano e punta alla costituzione di una scuola nazionale della pastorizia con ramificazioni nelle aree più vocate. Come appunto lo è il Piemonte. Il professor Luca Battaglini, docente di zootecnia speciale al Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Torino, socio dell’Accademia dell’Agricoltura torinese, è punto di riferimento dell’iniziativa e fra i promotori più convinti. Rete Appia riunisce allevatori, professionisti del settore veterinario e agro-silvo-pastorale, ricercatori, accademici. “Stiamo registrando un rinnovato interesse per questo settore. – sottolinea Battaglini – La pandemia ha riproposto temi legati alla sostenibilità e più di un giovane si dimostra motivato nei confronti di mestieri che sembravano cancellati. La pastorizia non è soltanto accudire greggi, rappresenta un baluardo nella tutela della montagna. Da anni è sotto attacco anche dei predatori, pensiamo ai lupi, che si spingono ormai nelle città. Ebbene, la difesa della pastorizia garantirebbe anche gli ecosistemi”.
Nelle ambizioni della rete ci sono una scuola delle stagioni, partendo dalle Alpi Occidentali, con stage per gli studenti che vogliono apprendere sul campo il mestiere di pastore e rivalutare preziosi saperi perduti.
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