In mezzo agli sgherri romani nelle scene della crocifissione di Cristo, a Vercelli in San Cristoforo e a Varallo nella tramezza di Santa Maria delle Grazie e nella quinta cappella scenografica del Sacro Monte, incombono i robusti cavalli di Gaudenzio Ferrari (Valduggia 1475 0 1480/Milano 1546). Forse sono cavalli di razza frisona, o di uguale robustezza, i quali ricordano il Bucefalo di Alessandro Magno (356/323 a. c.), che nell’epoca medievale e nel Rinascimento erano da guerra, utilizzati dai cavalieri di queste epoche come carri armati, capaci di sostenere il guerriero con la sua pesante corazza e di muoversi velocemente sui campi di battaglia. La loro robustezza era anche utilizzata per il loro lavoro dai contadini che fra Piemonte e Lombardia affrontavano le operazioni per le coltivazioni, in primis dei cereali e del riso portato dai Benedettini nella Pianura Padana.
Su questi soggetti pittorici scelti da Gaudenzio Ferrari, incisivo manierista rinascimentale, negli anni Sessanta cadde l’attenzione di due critici che analizzarono a fondo gli affreschi dell’artista valsesiano: Giovanni Testori (1922/1993) e Piero Bianconi (1899/1984). Con i suoi studi Testori, ancor più oggi, rende possibile la lettura di Gaudenzio, mentre Bianconi con una scheda scritta nel 1965 (I maestri del colore, fratelli Fabbri Editori) rinvigorisce un’epoca non sempre ben delineata dalla storia dell’arte italiana, oggi però valorizzata dalla Regione Piemonte con il finanziamento della iniziativa culturale su Gaudenzio Ferrari pittore rinascimentale, che contemporaneamente riguarda Varallo Sesia, Vercelli, Novara, Saronno e altre aree della Lombardia. La rassegna a più poli si concluderà a settembre a Varallo con un apporto di notizie che anche riguarderanno, in parte, la massiccia cavalcatura dagli anni Cinquanta dimenticata a causa della motorizzazione nei campi, ma che ha animato la storia e il suo complesso romanzo umano e sociale dalla Grecia, dalla Romanità( Tacito, 53/120, Annales) su fino al Cinquecento che con Carlo V ( 1500/1558) rifondò l’impero romano con confini che adesso ricordano quelli dell’Unione Europea, dal Mediterraneo all’Atlantico. I cavalli di Gaudenzio rammentano quelli metafisici e robusti di Giorgio De Chirico (1888/1978), anche il potente destriero appunto montano da Carlo V, dipinto di Tiziano nel 1548, oppure da Antony Van Dick in epoca analoga. Un po’ diversi sono i cavalli maremmani di Giovanni Fattori (1825/1908). In ogni caso queste presenze del caballus (secondo la dizione in latino maccheronico dei contadini) scandiscono in piccola parte una fase degli anni della storia del cavallo, forse incominciata in Asia 55 milioni di anni fa. Proprio questo destriero, modificatosi nel tempo per correre nelle steppe e sottrarsi ai suoi nemici mortali, è un esempio vivente della evoluzione favorita nel tempo dall’arte genetica. Sul globo adesso sono censite 300 razze o poco più e in Italia una ventina di razze frutto di continui incroci, compreso il robusto e scultoreo frisone. La archeologia applicata agli animali, assicura che in origine il cavallo era grande come un grosso cane o un cerbiatto, e che nei millenni divenne quello che conosciamo oggi, il quale ci appassiona anche da un punto di vista agonistico e della sua eleganza.
Negli anni Cinquanta del Novecento con l’affermazione delle tecnologie delle macchine il cavallo, in particolare il frisone e il robusto cavallo da tiro e da carne, rischiò di scomparire anche per il lavoro agricolo, attualmente attestatosi intorno alle 5000 unità secondo il censimento del ministero delle Politiche Agricole. Poi l’animale, fondamentale per le multifunzioni agricole, è stato riscoperto. L’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani certifica che la crescita equina si aggira intorno al 5% annuo. Conseguentemente gli animali nelle regioni vocate per l’allevamento, come in Centro Italia, sono poco più di 400 mila unità, con 120 mila di razza italiana. Le aziende agrituristiche con equini secondo il Portale del Cavallo sono poco più di 1.200, gli allevamenti circa 700, i centri ippici oltre duemila, i veterinari che se ne occupano una ottantina e circa 400 quelli che badano ai servizi, come quanti provvedono ai finimenti e alla ferratura degli animali. Nella Baraggia Biellese, in territorio di Candelo, nel 1953 il perito agrario Davide Felice Aondio inventò l’agriturismo equestre con annesso Centro Ippico, fondando la Tenuta La Mandria. La sua teoria, poi diffusasi, è così riassunta: trasformare il fieno, oggi raccolto a La Mandria in 600 tonnellate annue, in ore di equitazione per i giovani e gli appassionati.
Sfortunatamente le benemerenze del cavallo, anche testimoniate dalle evocazioni pittoriche di Gaudenzio Ferrari, non sono tenute presenti, trasformando così la carne di cavallo in bistecche. In Australia e in altri luoghi della terra, con parziale sospensione negli Stati Uniti, è vigente il divieto di macellare cavalli. Invece in Italia, anche a causa di una tradizione che attribuisce importanza dietetica ai manicaretti di cavallo, ogni anno vengono macellati circa 250 mila equini, in buona parte in arrivo dalla Polonia, e lo stesso accade in Francia. Il trascurabile consumo pro-capite nell’ambito UE è di circa 2 chilogrammi di carne di cavallo, a suo tempo regolato sia nei macelli che nelle macellerie. I robusti e massicci cavalli ritratti nelle crocifissioni di Gaudenzio Ferrari, scontano spietatamente la morte soprattutto in Puglia (42.000 soppressioni annue), Veneto (15.000), Emilia (7.000) dove nei macelli, drammaticamente e ingiustamente si dimentica che un fedele supporter dell’uomo, arrivato a noi 55 milioni di anni fa attraverso lo stretto di Bering, con una biblica emigrazione animale giunse in Europa dall’Asia.
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