La risaia si autoriduce, anzi si restringe con una cura dimagrante intensiva che preoccupa e potrebbe avere contraccolpi su tutto il settore. Colpa della siccità dello scorso anno e delle prospettive, poco incoraggianti, legate alle condizioni meteo 2023. Insomma, il “climate change” (o cambiamento climatico) influisce sulle scelte degli agricoltori. L’Ente Nazionale Risi, come avviene in tutte le stagioni invernali, lancia un sondaggio sulle intenzioni di semina, scegliendo un campione di aziende. I risultati parlano da sé: la superficie risicola italiana, già limata lo scorso anno, ora perderebbe altri 7.621 ettari attestandosi a 210.800. In percentuale un -3,49%. Non bastano le quotazioni soddisfacenti di alcune varietà ricercate (come il Carnaroli); non sono attrattive per tutti neppure le indicazioni che arrivano da Bruxelles relative ai sostegni della Pac (Politica agricola comune), tutto sommato migliori rispetto ad altre colture. I risicoltori rinunciatari temono di affrontare ancora le difficoltà della scorsa primavera, quando i costi delle materie prime (concimi e energia) legati alla guerra in Ucraina, e la siccità persistente hanno causato la tempesta perfetta. I numeri non totalizzati, ma subiti, hanno scoraggiato più di un’azienda: 26 mila ettari persi o danneggiati dalla mancanza d’acqua in Lombardia, altri tremila nel Novarese. Questa situazione sta favorendo le importazioni, perché l’industria di trasformazione (le riserie) hanno urgenza di materia prima, non solo per l’Italia, ma per tutta Europa. I consumi sono in forte crescita, gli arrivi da Cambogia e Myanmar sono aumentati del 44 per cento. Questa tendenza potrebbe essere ancor più marcata. L’industria italiana chiede un allargamento dell’ettarato a 250 mila ettari, traguardo impossibile da raggiungere.
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