di Gianfranco Quaglia
Uno studio realizzato dall’Università della Virginia sulle differenze culturali tra le popolazioni della Cina del Nord e quelle del Sud è arrivato a queste conclusioni: chi abita nella parte settentrionale è più socievole in quanto coltiva riso, a differenza dei contadini meridionali che si dedicano al frumento. La <Teoria del riso>, così è stata battezzata dai ricercatori, avrebbe un suo fondamento: i risicoltori cinesi sono più portati alla socialità e alle relazioni con gli altri perché coltivare il riso richiede un lavoro condiviso e di vicinanza, di amministrazione del regime delle acque, del fare lobby per promuoverlo. Chi coltiva frumento, invece, sarebbe più individualista perché quel cereale non obbliga alla condivisione.
Interessante e curiosa questa tesi, ma sicuramente non sovrapponibile al pianeta riso made in Italy. E dire che tutta la filiera italiana, in questo momento, avrebbe di che condividere affanni e preoccupazioni: sulla risicoltura italiana e quella europea si è abbattuto lo tsunami Cambogia che con il suo prodotto invade i mercati deprimendo il nostro riso. La reazione c’è stata e si sta facendo sentire, ma in maniera scomposta e quasi competitiva al suo interno, con schieramenti che si contrappongono. Giorni fa l’annuncio di Confagricoltura, Confederaizone italiana agricoltori, industriali risieri, riserie artigiane aderenti a Confartigianato, mediatori, che tra il 14 e il 18 luglio occuperanno le Borse risi di Novara, Vercelli, Milano, Pavia e Mortara. Ma dal manifesto è assente la più grande organizzazione agricola ialiana, la Coldiretti. Tutti soddisfatti gli associati al sindacato dei berretti gialli? Nient’affatto. Tutti arrabbiati, forse più dei cugini. Tanto che Coldiretti decide di far da sé, anzi di anticipare i colleghi promuovendo un’altra manifestazione, la calata a Torino e davanti alla Regione Piemonte, dove viene allestita una risaia e i produttori spiegano i motivi della protesta, con un coinvolgimento della gente cui viene offerta insalata di riso alla piemontese. Come fosse in atto una disfida, la corsa a occupare per primi la casella della contestazione.
Modalità diverse, una dall’altra, dei sindacati agricoli che sul riso non riescono a manifestare un’intesa univoca. Qui la teoria dell’Università americana proprio non trova patria. L’eterna e italica contrapposizione, invece sì. Ma, tutto sommato, questa diversificazione, un risultato l’ha ottenuto: concentrare per oltre una settimana l’attenzione sul problema riso, da venerdì a quello successivo, con i riflettori dei media puntati. La fantasia made in Italy riesce comunque a mandare un messaggio, con buona pace delle divisioni interne.
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