Cibo a semaforo? Un danno enorme per l’agroalimentare italiano

Cibo a semaforo? Un danno enorme per l’agroalimentare italiano

di Enrico Villa

Il danno, poco dopo la Brexit, sulla alimentazione “a semaforo” procurato nel tempo all’agroalimentare italiano che si regge sui cibi e sulla loro esportazione, in primo luogo sull’Europa, più in generale sul globo, sarebbe enorme. Il ministro dell’agricoltura Maurizio Martina ha subito dato l’alt senza condizioni. E lo stesso stop senza condizioni è stato dato non solo dalle categorie agricole (Coldiretti, Confagricoltura, Cia) ma anche dalla Confindustria. Il disastro, sostengono le industrie che contano sul Made in Italy, sarebbe completo. Per far piacere alle multinazionali, che lucrano sui consumi puntando alla loro presunta semplificazione nonché alla Brexit, mezza dentro e mezza fuori dalla UE, il 72% dei frequentatori della grande distribuzione (calcolo di Coldiretti) in pochi anni sarebbero “massificati” con vantaggio per i proponenti che “subdolamente” hanno categorizzato i nostri alimenti in verde, giallo, rosso; cioè Co Cola, Pepsi Cola, Mars, Mondelez, Nestlè, Unilever.

Singolarmente, il progetto “assassino” è giunto negli stessi giorni in cui la Kraft Heinz (sottilette ecc.) e la Unilever hanno per ora rinunciato a fondersi, creando così un gigante difficilmente contrastabile dai 3 attori mercantili che ormai, in un modo o nell’altro, agiscono sul mercato della globalizzazione: produttori sempre più sfruttati per i prezzi ridotti sotto la soglia della remunerazione; industria di trasformazione con ridotta concorrenza; consumatori i quali potrebbero dovere accettare con disastrose conseguenze quanto deliberato dalle 6 o 7 multinazionali dell’agroalimentare. Infatti, basterà un “bollino rosso” posto non per decisione istituzionale ai cibi perché questi, alla lunga, vengano messe fuori mercato migliaia di aziende dei diversi comparti.

La “reazione emotiva” al proposito delle multinazionali che operano nell’area Brexit, dove “il cibo a semaforo” in Gran Bretagna è in vigore dal 2013, ha indotto a prese di posizione ministeriali e delle categorie produttive nonché dei consumatori che possono essere sottolineate con un sonoro No anche nei confronti della Ue, la quale nelle segrete stanze di Bruxelles e al Parlamento di Strasburgo asseconderebbe il progetto del “cibo a semaforo“. Infatti, a dire di parte della burocrazia comunitaria, i tre colori apposti agli alimenti combatterebbero l’obesità: gli eccessi di grassi, alla base di malattie in Europa non ancora controllate bene, anche rendendo più fluida la circolazione delle merci, caratteristica principale del Mercato Comune dal Trattatto di Roma, nel 1957.

Tuttavia dietro al “bollino rosso“, che avvertirebbe ruvidamente per la presenza di grassi “pericolosi, al “bollino giallo” e a quello verde, è presente un mondo sviluppatosi secondo i metodi tradizionale di preparazione e confezionamento. La “Fondazione Symbola” e Unioncamere hanno raggruppato la maggior parte di questi stessi prodotti nel rapporto Greenitaly 2016, fra l’altro dichiarando che l’Italia è la “più green di Europa“. I tre colori del semaforo inventato dagli inglesi, con miliardi di euro farebbero perdere questo primato adesso con 4.965 prodotti alimentari tradizionali italiani, 285 specialità Dop-Igp fra cui i numerosi formaggi come Grana e Gorgonzola, 415 vini Doc-Docg, 533 varietà di olive e, quindi, di olio extravergine. Proprio l’olio d’oliva è nell’occhio del ciclone dei “cibi a semaforo“. Se la teoria del “bollino rosso” dovesse prevalere, l’olio d’oliva extravergine italiano soccomberebbe perché, ricco di grassi, sarebbe una premessa alla obesità. E almeno per anni, questa rozza impostazione di tutela andrebbe a vantaggio degli spagnoli, che possiedono solo 70 varietà di olivo nonché dei paesi rivieraschi del Mediterraneo come Tunisia e Marocco.

Apparentemente gli alimenti a semaforo, che da tre anni tanto piacciono agli inglesi e alle sei/sette multinazionali non riguardano il biologico in Italia con 60.000 imprese certificate, delle quali 45.000 ad alta specializzazione. Anche la lavorazione “in scatola”, in bottiglia e in tetrapac, come alcuni prodotti delle multinazionali catalogati come bevande, meriterebbero il bollino verde il quale documenta zucchero in eccesso, ma non grassi. In realtà il biologico riguarda gli allevamenti di animali e, pertanto, la loro carne. Nella crescita complessiva del comparto, nel 2014 attestatasi su un più 8,6%, una parte concerne la zootecnia alimentata da foraggi non contaminati da eccessi di fitofarmaci. I bovini così nutriti e di cui vendere le mezzene sono cresciuti del 19,6%, il pollame del 18,2%, gli ovi-caprini per tradizione commerciale e alimentare proposti nel prossimo periodo pasquale, del 12,4%. Con il “bollino rosso” voluto dagli inglesi e dalle multinazionali, i manicaretti provenienti da questi animali sarebbero fortemente sconsigliati, con un danno economico evidente ma nessun beneficio per i consumatori e il loro pericolo di obesità. Questa minaccia del “cibo a semaforo” che incombe sull’allevamento italiano ed europeo anche contrasta con un “Piano strategico nazionale” appunto relativo al biologico. Il commento al Piano è il seguente: per basarsi essenzialmente su quattro punti fondamentali per tutelare produttori e consumatori: politiche di sviluppo, semplificazione, controlli e vigilanza, innovazione e ricerca. I bollini rosso, giallo, verde prevalendo vanificherebbero tutto questo, danneggiando in modo disastroso, oltre tutto, il Made in Italy, pilastro del nostro export agroalimentare.

semaforo

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