di Enrico Villa
Per l’agricoltura italiana e europea, la canapa è stata come la Cenerentola della favola negli anni Cinquanta e Sessanta: da coltivazione importante anche per l’industria, è stata accantonata per un pregiudizio che la accomunava agli stupefacenti, marjuana in particolare. Negli anni Trenta, in pieno periodo proibizionistico, era già accaduto negli Stati Uniti. Tuttavia 40 anni fa si era timidamente riscoperto l’oro verde chiamato così, e sperimentalmente la pianticina con una infiorescenza che per il suo contenuto può anche dare il vizio o la morte, da istituzioni italiane era stata prudentemente seminata.
Guidate da Milano, le coltivazioni sperimentali delle varie specie di canapa industriale erano state seminate nel Campidano e in altre province come Oristano. Agronomi esperti si erano trasferiti in Sardegna con il proposito del futuro sfruttamento per corroborare la economia sarda. Poi più nulla, con l’accusa della canapa di essere annoverata fra le droghe nonostante una circolare esplicativa del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste. Di dibattito in dibattito, con titoloni giornalistici che annunciavano l’arresto di coltivatori di canapa, si è arrivati alla legge che regola la materia nel 2016, in ogni caso con una lacuna: nella norma è omessa la infiorescenza che per usare il linguaggio corrente permette canne e spinelli, sconsigliati dagli specialisti che insistono perché i fiori siano messi fuori legge soprattutto per un elevato contenuto di sostanza stupefacente. La curiosità della legge è che il fiore non è considerato pericoloso in Svizzera dove sigarette ai fiori di canapa alla stregua del tabacco sono venduti nelle tabaccherie cantonali, o nelle importazioni libere dalla Cina e di altri paesi, fortissimi coltivatori ed esportatori di infiorescenze di canapa. La proposta di un emendamento è stata avanzata da un gruppo della compagine politica Cinque stelle nella trascorsa legislatura, ma per ora non ha avuto seguito.
La legge del 2016, entrata in vigore l’anno successivo, ha dato l’ala ai piedi della Cannabis Sativa, botanicamente così denominata e appartenente alla famiglia delle graminacee, come per esempio è il riso. Motivandone il consiglio, le organizzazioni di categoria agricole invitano gli agricoltori a passare alla canapa per cui si sta formando un mercato, poiché da questa graminacea si ottiene anche la parziale purificazione dei terreni colturali e perché dalla sua trasformazione si ottengono tanti utensili e l’impiego nella bioedilizia. Alla canapa la associazione del settore, con una sede operativa a Carmagnola (provincia di Torino) ha dedicato recentemente una interessante monografia che esaminando tutti gli aspetti della specie, evidenziano un risvolto assai importante: come per tanti prodotti agricoli con un passato, essi affluiscono validamente sul mercato contando sulla alleanza agricoltura/industria. Gli esempi più eloquenti provengono dal latte nonché dal vino, e dal riso che ha conosciuto la prima accoppiata produttiva con il tecnico Armando Gariboldi, la Riso Gallo e la Riso Scotti nonché i molini poi diventati riserie disseminati nella Pianura Padana, in particolare il Vercellese, il Novarese, il Pavese e la Lomellina, il Ferrarese. Ritornando alla Cannabis Sativa anche utilizzata per finalità terapeutiche, Bruno Rivarossa, delegato Coldiretti attualmente operante in Piemonte, non ammette dubbi: si tratta di un’opportunità da valutare con attenzione per porre fine alla dipendenza del nostro Paese dall’estero, Olanda in particolare e avviare un progetto di filiera italiana al 100% che unisca l’agricoltura all’industria farmaceutica. Prima della svolta provocata dalla Legge del 2016 e da un rapporto diverso dei produttori con l’agricoltura, in Italia i canapeti sorretti dalla coltivazione avevano una estensione di appena 3000 ettari. Adesso negli USA, la superficie occupata in 33 Stati è di circa 10.000 ettari, mentre nell’Europa comunitaria la estensione ha raggiunto i 33 mila ettari con la supremazia della Francia la quale alla canapa industriale si è votata in modo imprevisto e crescente. Come al solito mancando l‘attenzione in Europa per la Cina, la repubblica cinese ha formulato un piano produttivo secondo il quale nel 2023/2024 dovrebbero conseguire per l’interno e l’export un valore di 15 miliardi di dollari, mentre il forte produttore Canada sta puntando ad una superficie di 60 mila ettari per ricavarne seme, tessuti e prodotti alimentari.
Alla canapa industriale la monografia dedica schede dalle quale risulta che le varietà di Cannabis Sativa impiegate in Europa siano circa 65, conseguenza di ricerche e selezioni ottenute in Ucraina, Romania, Francia, e che le varietà importanti provengano da Carmagnola di cui è anche conservano commercialmente il nome corrente. Questi e altri aspetti evidenziati dal genetista professor Stefano Amatucci dell’Università di Milano non sempre sono sufficienti al momento ad alimentare il mercato, tanto che lo stesso genetista annota: senza ombra di dubbio è il problema di alimentare il mercato. Il professor Amatucci aggiunge che teoricamente c’è il mercato per la canapa tessile con crescita della domanda ma che non sempre esiste il prodotto. Forse nei prossimi anni un apporto indispensabile in più verrà dalle Regioni dove si è ripreso a coltivare canapa, in particolare la Sardegna dove – scrive Il Messaggero – la coltivazione sorretta dalle istituzioni si sta rivelando un businnes per recuperare terreni incolti e senza alcuna vocazione produttiva. Inoltre, come abbiamo già accennato, fra le benemerenze della Cannabis Sativa vi sarebbe la capacità di bonificare i terreni invasi dai metalli pesanti, pericolosi per la salute del territorio. Le sue radici assorbono gli inquinanti, lasciando il terreno pulito e pronto per altre colture.
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