Post pandemia e guerra in Ucraina sulla sfondo del summit sui 60 anni della Pac (Politica agricola comune) che si è svolto alla Fieragricola di Verona, 115.a edizione. Difficoltà sll’orizzonte, ma anche elogi per l’Italia. «Grazie alla Politica agricola comune possiamo trasformare l’agricoltura in Europa e renderla più produttiva, più sicura, con una maggiore qualità e in questo l’Italia rappresenta un esempio virtuoso per molti altri Paesi, in quanto siete leader nel valore aggiunto e nella sostenibilità, utilizzate meno pesticidi, sapete come fare rete e aggregarsi in maniera efficace». Così Maciej Golubiewski, capo di gabinetto della Commissione Ue all’Agricoltura e Sviluppo rurale. Allo stesso tempo, Golubiewski, nella tavola rotonda di confronto con il sistema agricolo italiano moderata da Roberto Iotti, caporedattore del Sole 24 Ore, rassicura l’Italia in merito alla validazione del Piano strategico nazionale che il ministero delle Politiche agricole ha inoltrato a Bruxelles per l’approvazione. Novità assoluta introdotta con la riforma 2021-2027 (in vigore dal 1à gennaio prossimo), il Piano strategico nazionale garantisce maggiore flessibilità nella declinazione delle misure della Pac. Sul tema, Golubiewski anticipa alla platea di imprenditori italiani del settore agricolo e della filiera agroalimentare di stare tranquilli. «Entro la fine di maggio riceverete la lettera di risposta dalla Commissione Agricoltura sul Piano strategico nazionale, ma non preoccupatevi. Il commissario Wojciechowski afferma spesso che l’Italia è un ottimo esempio di come coniugare sostenibilità e produttività». Parole che stemperano qualche critica piovuta dal mondo agricolo nazionale, che giudica la Pac non sufficientemente attenta alla tutela del reddito degli agricoltori, una delle priorità per le quali la Politica agricola comune è stata istituita già nei Trattati di Roma del 1957 e applicata a partire dal 1962. «Volevamo una Pac che rimanesse una politica agricola – ha commentato ieri dal palco della Gran Guardia di Verona il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – oggi invece è diventata un mix di politiche agricole, ambientali, economiche e sociali, ma quando se ne vogliono far troppe si rischia di non raggiungere l’obiettivo. Abbiamo il 15% di risorse in meno rispetto alla precedente programmazione e non si garantisce il giusto reddito agli agricoltori». La sfida ora, per Giansanti, è legata all’innovazione «e l’agricoltura 4,0 è la risposta per un’agricoltura sempre più integrata, attenta a preservare le risorse ambientali e sempre più produttiva e competitiva». Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, guarda oltre le critiche alla Pac per proporre un nuovo paradigma di sovranità alimentare europea. «La crisi in Ucraina di questi ultimi giorni ci dovrebbe insegnare che dobbiamo investire ancora di più in agricoltura per cercare di avere una forma di autosufficienza produttiva e garantire i cittadini, i consumatori e le nostre filiere – spiega Prandini -. In una logica di globalizzazione spinta negli ultimi anni abbiamo assunto una posizione secondo la quale ciò che non potevamo produrre autonomamente lo acquistavamo dall’estero. Oggi siamo chiamati a compiere investimenti e con le risorse del Recovery Fund dobbiamo puntare sul rafforzamento degli stoccaggi delle materie prime e sui bacini di accumulo per le risorse idriche. Dobbiamo aumentare le rese delle colture in campo e per farlo da un lato serve disponibilità di acqua e dall’altra dobbiamo investire sulla cisgenetica come risposta ai cambiamenti climatici e sulla logistica per non perdere la sfida della competitività con gli altri Paesi europei». Altro aspetto fondamentale in chiave globale è, per il presidente Prandini, «la reciprocità dei sistemi produttivi sia fra gli stessi Stati membri che fra Unione europea e altre aree del pianeta, per evitare forme di concorrenza sleale che penalizzano in ultima analisi gli agricoltori italiani». La missione è dunque quella di valorizzare le produzioni italiane e le filiere Made in Italy, a partire dal mais per la zootecnia e dai cereali per la produzione di pane, pasta, biscotti, sollecita Dino Scanavino, presidente di CiaAgricoltori Italiani. «Dobbiamo scommettere sull’innovazione, la digitalizzazione, la ricerca genetica, l’aggregazione di prodotto, la forza del sistema fieristico, l’enfatizzazione della biodiversità animale e vegetale, ma anche su aspetti che interessano i consumatori come il paesaggio, il territorio, la corretta gestione ambientale». E se la Pac è nata con l’Europa, «oggi la situazione è diversa da quella di 60 anni fa e la Politica agricola comune – puntualizza Scanavino – ha alzato l’attenzione su altri temi oltre alla mera produzione, perché si parla di ambiente, di qualità per il cibo, di sostenibilità, di Farm to Fork e di transizione ecologica. Abbiamo a che fare con una Pac che non premia la produzione, ma i comportamenti, ma il mondo oggi è alle prese con due emergenze: la pandemia e la guerra in Ucraina, rispetto alle quali sono venuti a mancare non il cibo, ma gas e petrolio, i cui prezzi sono schizzati alle stelle. Ma attenzione, perché la mancanza di energia potrebbe creare una crisi del cibo». Per Franco Verrascina, presidente di Copagri, «con questa riforma della Pac si chiede agli agricoltori di fare di più dando di meno; per questo dobbiamo puntare su quello che chiede il consumatore, quindi qualità e sostenibilità ambientale, senza dimenticare quella economica». La direzione che il mondo agricolo e alimentare dovranno seguire è chiara per il presidente di Copagri: «Dobbiamo poi lavorare sulla sicurezza del cibo italiano e sul versante della salute. C’è sempre più richiesta per un cibo salutistico e per questo dobbiamo puntare sulla tecnologia e la ricerca, investendo sui giovani». Per Eduardo Cuoco, direttore di Ifoam Organics Europe, «gli agricoltori sono parte attiva della società e ci possono aiutare a ridurre gas serra, purché sostenuti ad intraprendere nuovi modelli di business di agricoltura sostenibile. In quest’ottica, la Pac dovrà dialogare con altri strumenti di sostegno per accompagnare il mondo agricolo verso produzioni più sostenibili e per strutturare filiere europee che garantiscano indipendenza dall’import e valore aggiunto alle produzioni locali, così da avere un sistema di resilienza europeo efficace sulle filiere alimentari»
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