di Enrico Villa
A Milano l’inaugurazione di Expo 2015 ha ridato vigore alle organizzazioni professionali che tutelano l’agricoltura europea. Infatti, la rassegna mondiale di Milano/Rho una volta ancora ha richiamato l’attenzione su un aspetto: sulla Terra non è possibile vivere agevolmente senza agricoltura che caratterizza ogni area produttiva del Globo. La Coltivatori Diretti italiana insiste da tempo sul criterio del chilometro zero invitando a sfruttare le produzioni territoriali dei campi e, con il giudizio critico dei consumatori, a disdegnare, per esempio il kiwi e l‘uva novella che con viaggi in aereo di migliaia di chilometri proviene dalla California o dal Cile .
Ma altre organizzazioni professionali agricole concludono che questa è la realtà della globalizzazione cui ci hanno imposto le nuove regole di mercato le quali anche impongono che è indispensabile concedere spazio a tutti purché sia rispettata la regola della parità produttiva, essenziale per salvaguardare la concorrenza reale. Il riso, che senza blocco doganale affluisce dal Sudest asiatico e che insidia il cereale italiano ed europeo, è un esempio convincente. Produzioni rigorosamente osservanti delle norme europee, a costi maggiorati rispetto a quelli praticati nel Sudest asiatico, rischiano sempre più di uscire perdenti nella competizione mercantile globale. E questo riguarda anche i consumatori la cui salute deve essere tutelata. Questo non è sempre possibile se le erbe infestanti del riso cambogiano, vietnamita, thailandese sono combattute con i pesticidi messi fuori legge in Italia e negli altri paesi risicoli europei come la Spagna, la Grecia, il Portogallo, anche la Romania e la Bulgaria dove le risaie si stanno attestando in una posizione preminente, del resto con alle spalle una tradizione di coltivazione lunga secoli. Il quesito dei produttori italiani e degli altri risicoltori europei a Bruxelles e alla UE è: perché mai non è possibile in Italia quanto è autorizzato in Romania e in Bulgaria dove la coltivazione ha meno limiti che in Italia, in Spagna e in Grecia? La nuova Pac, che già si vorrebbe revisionare – continua la considerazione – vige ugualmente in tutti i Paesi dell’Ue, già colpiti dalle liberalizzazioni in vigore il Cambogia e in Vietnam.
Le disparità, che incidono sui corsi di mercato, ultimamente stanno attraendo l’attenzione delle organizzazioni professionali agricole: le offerte speciali praticate ormai diffusamente dalla Grande distribuzione rivelano situazioni assai pesanti per il settore agricolo, in particolare per le produzioni orticole e frutticole. L’offerta speciale di latte a un euro al litro maschera il rapporto tra produzione e industria del latte e casearia. In realtà, un euro per litro è la conseguenza che fa piacere ai consumatori attanagliati dalla crisi economica che anche riguarda la spesa di ogni giorno ma che è anche il braccio di ferro tra produzione e industria di trasformazione. Alla fine, la produzione si ritrova con pochi spiccioli, non in grado di compensare lavoro e capitali investiti, vero attentato alla stabilità del comparo agricolo. E lo stesso sta accadendo per tanti altri comparti agricoli importanti, tanto che sul suo giornale Il Coltivatore Cuneese, la federazione dei Coltivatori Diretti di Cuneo ha intitolato un suo commento ufficiale: Bravi a produrre…meno a vendere. L’affermazione, che potrebbe essere generalizzata, è anche stata documentata. Il comparto dell’ortofrutta, fondamentale nell’Italia centrale e oggetto per la grande distribuzione di offerte speciali, vale nel nostro Paese 13/14 miliardi di euro, almeno 4 miliardi di export raggelati dalla crisi ucraina e dal blocco delle importazioni nella Federazione Russa. Tuttavia, come anche motiva il commento localizzato nella provincia di Cuneo, i conti non tornano all’origine, cioè all’agricoltura, lasciando molto spazio ai nostri concorrenti europei fra i quali Francia e Spagna cui aggiungere i Paesi emergenti mediorientali come Marocco, Tunisia, Egitto. E il sistema – è il commento – continua a perdere colpi, schiacciato dal peso di merce in arrivo da tutto il mondo (più spesso dai paesi limitrofi) a costi nettamente più bassi. Questi stessi prezzi facilitano la grande distribuzione e le loro molteplici offerte speciali. Secondo la Coltivatori Diretti il costo del lavoro per una impresa agricola italiana si aggira sui 13,7 euro all’ora mentre in Spagna 9,4 euro all’ora. Inoltre, la compressione non è possibile, al di fuori del chilometro 0, con costi mediamente di 1,6 euro al chilometro e in Spagna, che ci manda molta merce, il costo chilometrico costa 1,2 euro che sale a 10 euro per un viaggio in container però diminuito a 7 euro per merce (fiori e ortofrutta) inviata dall’Olanda. Gli aggravi sono aumentati dai costi dell’energia calcolati in 0,18 euro/Kwh. La politica agricola comune, tramite le regioni, indica una organizzazione agricola che tarda ad essere attuata. E questo anche per i ridotti investimenti, secondo L’Agricoltore, periodico di Confagricoltura di Vercelli e di Biella presieduto da Paolo Carrà. Infatti, secondo il periodico, il credito agrario dal 2010 al 2014 è passato da 40.890 milioni di euro a 44.420 milioni di euro. Troppo poco, secondo una nota intitolata Credito e Confagricoltura per generare una svolta organizzativa, di frequente condizionata dalla Criminalità agricola la quale pesa sensibilmente sui mercati di scambio e sui trasporti.
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