Il professor Giuseppe Carlo Lozzia, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Milano, è stato fra i primi in Italia a occuparsi di lotta integrata, soprattutto nei vigneti. Ci ha sempre creduto, con determinazione. Tanto che buona parte di un altro primato va ascritto a lui. Parliamo dei 35 anni di attività di difesa integrata nei vigneti delle colline novaresi, esempio che ha fatto scuola e che ogni anno si celebra e si arricchisce di ulteriori risultati. Quando arrivò, chiamato sulle colline del Ghemme, Sizzano, Boca, Fara, declinare il termine lotta ai parassiti significava andare immediatamente con il pensiero all’uso massiccio di anticrittogamici e antiparassitari cui i viticoltori facevano ricorso. Non fu facile convincerli che occorreva invertire la rotta, anche nel loro interesse economico. Ma Lozzia riuscì a fare breccia, introdusse nuove tecniche, a cominciare dai feromoni attrattivi per la confusione sessuale che blocca la riproduzione. Sino a diventare punto di riferimento ascoltato e richiesto dagli stessi viticoltori. Pochi giorni fa, a Maggiora, sulle colline novaresi, è stato fra i relatori alla giornata della viticoltura, per sottolineare come i nuovi metodi rappresentino un valore aggiunto ai vini autoctoni che in questi 35 anni hanno raggiunto risultati importanti in Italia e all’estero. Ma al docente è arrivato anche un grido d’allarme e un monito: “Ok sulla sostenibilità, ma ora l’Europa esagera nel restringere l’impiego di prodotti chimici utilizzati per la difesa nei vigneti”. Come dire: benissimo la difesa dell’ambiente, ma non è possibile affidarsi solo e unicamente ai metodi naturali per produrre. Un dibattito già aperto in altri comparti agricoli, come la risicoltura, dove i principi attivi concessi sono ormai molto ridotti e rischiano di inficiare la produzione.
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