di Gianfranco Quaglia
Gli apicoltori del Piemonte rivendicano la loro identità e non ci stanno a “subire” imposizioni e proposte di normative unilaterali, che arrivano da una parte sola, cioè la ricerca. La rivolta – se così si può chiamare – è stata annunciata durante il congresso regionale di Aspromiele, che ha richiamato appassionati ma soprattutto professionisti da tutto il Piemonte. Sotto attacco un documento che fa capo a un gruppo di ricercatori, la Carta di San Michele all’Adige, con la quale si gettano le basi per una concezione diversa dell’apicoltura Made in Italy, non più concepita come zootecnica, ma faunistica. Gli apicoltori contestano i punti di questa Carta che- secondo loro – li relega al ruolo di semplici spettatori e non attori di un settore con 20 mila professionisti e 900 mila colonie su un totale complessivo di 1.250.000 alveari. Circa 1500 di questi produttori allevatori – più specializzati a professionali – accudiscono 550 mila alveari, poco meno della metà dell’intero patrimonio nazionale. La Carta contestata muove da un presupposto: non solo in Italia, ma in tutta Europa stiamo assistendo alla riduzione e alla scomparsa dell’ape mellifera, con conseguente ricaduta anche sul mantenimento della biodiversità. secondo i ricercatori tra le cause attribuibili a questo fenomeno (peraltro presente anche in Spagna e Francia) ci sarebbe anche il nomadismo degli alveari e soltanto al sesto posto nella scala delle responsabilità figura l’uso di pesticidi in agricoltura. “Un teorema inaccettabile” dice Adornino Scacchi, tra i più grandi apicoltori italiani, con azienda a Oleggio, che ha aggiunto: “Sarebbe bene, invece, occuparci dei veri problemi che assillano il comparto, ad esempio dell’importazione del miele straniero: l’80 per cento di quello che proviene dalla Cina è sciroppo”.
Giuseppe Cefalo, presidente nazionale di Unaapi (Unione nazionale associazione apicoltori italiani): “Con questo sistema si vuole alzare muri, arrivare a un protezionismo. Noi siamo disposti a condividere iniziative e costruirli non sulla testa degli apicoltori, ma con gli apicoltori, rapportandoli quindi anche alla redditività delle aziende e alle loro abituali e consolidate procedure di allevamento, come nomadismo, rimonta, moltiplicazione di celle reali, api regine, pacchi d’api e sciami”.
Nel dibattito sono intervenuti anche Massimiliano Gotti e Francesco Panella. Quest’ultimo ha sottolineato: “Questa carta è un documento politico, non scientifico. Inaccettabile che gli apicoltori siano additati quali causa del problema. La proposta della Carta è legata a una visione della genetica romantica e superata. Questa Carta va stracciata, è indecente nella proposta e nella comunicazione”.
Di segno opposto il biologo Dall’Olio, che ha firmato quel documento. La ricercatrice del Crea Cecilia Costa ha definito la Carta “un documento importante per realizzare principi già espressi”.
In precedenza avevano parlato la presidente regionale di Aspromiele, Lidia Agnello, che ha ribadito il ruolo importante svolto dal settore apistico: “Il monitoraggi ambientale svolto dalle api secondo il progetto svolto insieme con Regione e Agrion”. L’assessore all’agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero: “Nessun altro settore più del vostro riesce a fornire il quadro dell’ambiente ci circonda. Dal progetto di monitoraggio recuperiamo informazioni utili che ci arrivano non sollo dai campi, ma anche dai giardini, dalle aree urbane, per capire qual è lo stato di salute dell’ambiente, anche attraverso l’analisi dei pollini e dei mieli. Un altro aspetto non trascurabile: negli interventi di forestazione e rimboschimento occorre tenere conto delle essenze che rappresentano una risorsa per il vostro settore”.
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