Chi ordinerebbe in un ristorante italiano un piatto di risotto birmano? Forse nessuno. Eppure il riso japonica made in Birmania (oggi Myanmar) sta entrando nell’Unione Europea. Anzi, le ultime cifre ci dicono che le importazioni sono più che raddoppiate, destando allarme sui mercati eruopei e tra i risicoltori, non sollo italiani,. Come è noto il riso japonica, coltivato in larga parte nel nostro Paese, è indicato per i risotti. L’arrivo di un analogo prpodotto, anche se meno pregiato e conosciuto come il made in Italy, crea preoccupazione.
Per questo il presidente dell’Ente Nazionale Risi Paolo Carrà inerviene e chiede alla Commissione europea di applicare subito la clausola di salvaguardia, così come è avvenuto negli scorsi mesi per i risi tipo Indica provenienti da Myanmar e Cambogia. E apre un nuiovo dossier: quello sul riso lungo A.
Secondo i dati forniti dalla Commissione europea dall’inizio della campagna fino al 31 marzo 2019, l’Ue ha importato dal Myanmar 22.755 tonnellate di riso lavorato Japonica, il 54% delle quali rappresentate da riso Lungo A, mentre nel solo mese di aprile le importazioni hanno riguardato ben 11.261 tonnellate. In altre parole, l’emergenza Lungo B, tamponata dalla clausola di salvaguardia applicata dall’inizio dell’anno ai PMA (paesi meno avanzati) per questa tipologia di riso lavorato e semilavorato, si ripropone per il prodotto lavorato proveniente dall’ex Birmania. E’ evidente il tentativo degli operatori birmani di non perdere quote mercato nell’Ue in seguito all’applicazione della clausola di salvaguardia sull’Indica ed infatti nel mese di aprile le importazioni di riso lavorato Indica dal Myanmar sono risultate molto contenute (meno di 1.000 t) grazie agli effetti della clausola di salvaguardia.
In una nota diffusa dall’Ente nazionale Risi si Parallelamente, si denuncia un aumento molto preoccupante dell’import di riso lavorato Japonica che non è soggetto al pagamento del dazio, perché a tali importazioni non si applicano gli effetti della clausola di salvaguardia. Dall’inizio della campagna fino al 30 aprile 2019 sono state importate circa 34.000 tonnellate di riso lavorato Japonica, un livello più che doppio rispetto ad un anno fa (15.370 t) e superiore al volume registrato in tutta la scorsa campagna (27.332 t). I numeri parlano chiaro: secondo l’Ente Nazionale Risi, è di vitale importanza che la Commissione europea monitori la situazione e che agisca tempestivamente, senza la necessità di una domanda da parte di uno Stato membro, per aprire un’inchiesta al fine di accertare le condizioni per il ripristino dei normali dazi della tariffa doganale comune, applicando l’articolo 24 del regolamento (Ue) n. 978/2012. Se fosse accertato che le importazioni di riso lavorato Japonica dal Myanmar sono causa di gravi difficoltà per i produttori dell’Ue di riso Japonica, prodotto tradizionale comunitario, la Commissione dovrebbe infatti intervenire di sua iniziativa adottando un atto di esecuzione immediatamente applicabile per il ripristino dei normali dazi della tariffa doganale comune per un periodo massimo di un anno, riservandosi azioni più incisive e determinanti (articolo 25 del regolamento n. 978/2012). Nelle proprie valutazioni la Commissione europea dovrà considerare che le importazioni a dazio zero di riso lavorato di tipo Japonica sono ancora più impattanti di quanto lo siano state le importazioni a dazio zero di riso lavorato di tipo Indica proveniente da Cambogia e Myanmar, perché danneggiano la produzione europea di riso di questa tipologia che rappresenta il 75% della produzione totale di riso. L’Ente Nazionale Risi aveva segnalato la propria preoccupazione nel Comitato di gestione a Bruxelles di venerdì 24 maggio raccogliendo il sostegno delle delegazioni spagnola e portoghese.
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