L’aria che tira, secondo gli ultimi report, è un po’ meno inquinata. Almeno per quanto riguarda il Piemonte. Merito delle condizioni climatiche e ai veicoli con emissioni oltre i limiti. Ma se la riduzione è minima, la situazione relativa ai gas serra in tutta la pianura padana, da Torino a Venezia, è ancora oltre i livelli di guardia. Percezione e narrazione ci raccontano che responsabili degli agenti inquinanti sarebbero da ricercare anche nel mondo agricolo, in particolare nel comparto zootecnico, a causa degli allevamenti intensivi di bovini e suini (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna).
Non è così. L’agricoltura non è la prima responsabile dell’inquinamento dell’aria, anzi, il settore primario è necessario per migliorare la sostenibilità ambientale. Lo confermano i numeri: il comparto agricolo incide per il 7% sull’effetto serra e l’attività zootecnica soltanto per il 5%. Di più: la stalla, messa sotto accusa come principale fonte inquinante, in realtà è alla base della catena alimentare. Non solo direttamente perché fornisce carne, ma è indispensabile al mantenimento dei prati che a loro volta generano biodiversità, api, impollinazione ecc. Insomma, un sistema virtuoso.
Queste le conclusioni sulle quali hanno concordato scienza e agricoltura a confronto a Torino con il convegno “Allevamenti e qualità dell’aria” organizzato da Coldiretti Torino con i Dipartimenti di Scienze agrarie e veterinarie dell’Università torinese.
Il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini, ha respinto le accuse agli allevamenti e alle pratiche agricole troppo spesso additate come la causa principale della formazione delle polveri sottili che minacciano la salute dei cittadini: «Le nostre aziende sono sempre disponibili ad accettare l’innovazione che viene dalla ricerca scientifica. I nostri agricoltori sono i primi a cercare una sempre maggiore sostenibilità delle pratiche agricole. Ma quello che non possiamo accettare è essere accusati di fare ammalare la gente. Siamo stufi di assistere a una cattiva informazione sul nostro mondo e non siamo disposti ad accettare che si parli di chiusura degli allevamenti per migliorare la qualità dell’aria». A Prandini ha fatto eco il ministro dell’ambiente e sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin: “Il governo italiano è riuscito a bloccare in Europa il tentativo di equiparare gli allevamenti alle grandi fabbriche. Gli obiettivi sulla qualità dell’aria si raggiungono lavorando su più fronti ma soprattutto sul fronte energetico. C’è bisogno di equilibrio e di tempo. Il 2030 per centrare gli obiettivi strategici non basta: abbiamo chiesto almeno 5 anni in più».
La presidente di Coldiretti Piemonte, Cristina Brizzolari e il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici, hanno ricordato che l’agricoltura è pronta a migliorarsi e a diventare sempre più sostenibile «ma non per questo – hanno ricordato i due presidenti – accetteremo che si chieda agli allevamenti di chiudere».
Secondo Barbero, direttore Generale di ARPA Piemonte: “In questa regione il Pm10 prodotto direttamente dall’agricoltura tocca una percentuale minima, intorno al 4-5%. Ma rimane il problema delle emissioni di ammoniaca che producono particolato secondario”.
Al convegno sono intervenuti anche Carlo Grignani, direttore Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino che ha ribadito che non ha senso chiedere la chiusura degli allevamenti per migliorare la qualità dell’aria. Francesco Tresso, assessore al verde pubblico del Comune di Torino ha ricordato l’importanza ambientale dell’agricoltura per una metropoli come Torino. Marco Protopapa, assessore all’agricoltura e cibo della Regione Piemonte ha annunciato che saranno chieste più risorse per accompagnare gli allevamenti verso la riduzione dell’impatto ambientale.
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