“Farmers are our boots on the ground” (gli agricoltori sono i nostri stivali sul terreno)”. Così Phil Hogan in uno degli ultimi discorsi del 2016 al Parlamento europeo. Il Commissario all’agricoltura dell’Ue ha aggiunto: “I nostri stivali sul terreno proteggono l’ambiente rurale e meritano di essere ricompensati per i costi connessi con la fornitura di quei beni pubblici, di cui tutta la società beneficia”. Parole che risuonano come un sigillo sul lavoro della gente dei campi di tutta Europa. Ma la realtà e la considerazione di cui godono gli agricoltori, almeno in Italia, è molto diversa. E’ di pochi giorni fa la pubblicazione di un sondaggio realizzato dall’Informatore Agrario, l’autorevole testata del mondo agricolo, condotto su in campione di 500 agricoltori in tutta Italia. Ciò che emerge dagli intervistati è che l’agricoltura del nostro Paese non va bene e che i redditi delle aziende sono peggiorati. Ad affermarlo sono quasi tutti (tra l’88% e il 92%) i rappresentanti del settori produttivi (cerealicolo, viticolo, ortofrutticolo e zootecnico) in disaccordo con l’ottimismo delle dichiarazioni di politici e sovente dei mass media, che da anni dipingono il settore primario come terra promessa, dispensatrice di occupazione. Il record del giudizio negativo arriva dai cerealicoltori (98%), quindi da coloro che coltivano riso, grano, mais, orzo. Insomma, secondo il sondaggio negli ultimi anni le condizioni sono peggiorate, a fronte di un indicatore ufficiale dei redditi agricoli italiani in aumento del 14% dal 2005 al 2014, su una media europea del +40%. Nel campione solo il 30% dei viticoltori sostiene che il proprio reddito è migliorato, affermazione peraltro in linea con la tendenza del settore, primo in Europa e traino del nostro export agroalimentare.
Agricoltori pessimisti e inclini al piagnisteo, asserragliati nel loro habitat e incapaci di guardare oltre le mura del cortile? Lo stereotipo sembra ormai superato, anche considerando un altro dato che emerge dal sondaggio: la maggioranza (71,3%), proprio perché si rende conto che da soli non si va lontano, è favorevole all’aggregazione tra produttori come sostegno importante alla redditività agricola. Insomma, sì all’unione degli stivali se fa la forza. Ma basta con un altro stereotipo: quello che fotografa il mondo dei campi come paradiso, generatore di libertà e occupazione, vita semplice e gratificante. Provate a chiederlo in questi giorni agli allevatori sul fronte del terremoto sepolti nelle trincee della neve, rimasti a difendere gli animali affamati nelle stalle, ultimo e unico baluardo di un futuro incerto.
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