di Enrico Villa
In Italia le sostanze velenose che si insinuano nei nostri cibi, nell’ultimo decennio hanno procurato 7 miliardi di danni. Sul Globo si calcola che in danno è stato di 60 miliardi di euro. In un modo o nell’altro da un punto di vista dei controlli statali tutti hanno un po’ di responsabilità, Unione Europea compresa dove in alcuni partners gli accertamenti preventivi sono ridotti al minimo. Ma nel mondo è soprattutto la Cina che esporta in Occidente grandi quantitativi di merce e di alimenti, in questo momento il grande spauracchio: 50 miliardi di dollari che nel tempo per gli inquinanti hanno riguardato acqua, latte, carne. Le autorità cinesi hanno affrontato la questione con campagne di interventi i quali anche riguardano il pesante inquinamento atmosferico dove nei grandi centri l’aria, in più di un caso, è irrespirabile.
Un contrasto generalizzato, da 40 anni è esercitato da un organismo di fatto internazionale con la sigla RASFF (Rapid Alert for Food and Feed) che ha il compito di avvisare gli Stati sulla violazione degli standard di sicurezza minima sulle sostanze velenose le quali permeano la Terra, specialmente i paesi in via di sviluppo che – un esempio è il riso – hanno caparbia volontà di produrre e esportare molto per approvvigionarsi di valuta pregiata nonché di favorire gli interscambi. Infatti dal 1979 il RASFF circolarmente avvisa la presenza di inquinamenti dannosi per gli alimenti, sollecitando su questo tema la UE, l’EFSA, l’ESA, la Norvegia, il Liechtenstein, l’Islanda, la Svizzera. In 24 ore su 24 gli avvertimenti di pericolo pervengono ai governi che assumono i provvedimenti indispensabili tramite i ministeri competenti, in particolare il ministero della Salute e quello delle Politiche Agricole. L’ultima volta in ordine di tempo è avvenuto nel caso delle uova al fibronil con avvertimenti specifici su Belgio e Olanda nonché su una azione sostanziale da parte delle organizzazioni professionali agricole che hanno allontanato lo spauracchio a suo tempo rimosso per il vino al metanolo, la “mucca pazza”, gli allevamenti di polli con animali gonfi di antibiotici pericolosi e diossina. Federconsumatori ha commentato che il sistema messo in atto dalla istituzione RASFF funziona ottimamente specialmente ai fini delle segnalazioni di sostanze velenose da eliminare nei cibi.
Tuttavia, dietro il lavoro che il RASFF ogni giorno attua, vi è un universo al limite della criminalità che come un verminaio si propone, indipendentemente dalle leggi e dai regolamenti, di corrompere la “realtà legale” compromettendo la salute di milioni di persone. Coldiretti, fra gli altri, sottopone ad analisi quanto sta avvenendo, e queste sono le sue riflessioni: Oggi sono le uova al fibronil, ma ieri erano i pesticidi nella frutta e verdura arrivati dalla Turchia, le aflatossine nelle noci e semi dell’Iran, il mercurio del pesce proveniente dalla Spagna”. E prosegue, così evidenziando l’attività di allarme e di segnalazione tempestiva: Nel 2016 sono state 2993 le segnalazioni inviate al sistema di vigilanza anche per la sicurezza alimentare europea RASFF. La vigilanza, che in realtà favorisce il verminaio accennato, secondo il quadro delineato da Coldiretti non esiste ancora una legislazione che preveda la tracciabilità di base con cui poi vengono confezionati alimenti più complessi, pensiamo per esempio alle uova nelle torte. Anche in Europa Comunitaria, considerato che in realtà siamo un po’ i primi della classe. Infatti l’Italia nel 2016 ha inoltrato al RASFF ben 417 segnalazioni, mentre il Portogallo si è limitato a 33, la Germania si è mantenuta a 369, la Gran Bretagna a 349 nonostante il loro semaforo sui cibi presunti grassi, la Francia a 194. Belgio e Olanda che avrebbero preteso di presentarsi quali nuovi primi della classe, a parte le uova al fibronil, al RASFF hanno prospettato rispettivamente soltanto 199 e 287 segnalazioni. Al controllo, inoltre, sfuggono i prodotti asiatici come il riso trattato da fitosanitari tassativamente vietati in Europa e che invece fruiscono dalla Ue del trattamento “a dazio zero”, diventando così “elementi dannosi” per il consumatore ignaro nonostante l’obbligo recente di provenienza indicato sulla etichetta. Anche i nostri obblighi fissati dalle leggi italiane evidenziano come, talvolta, la lotta sia impari nei confronti dei prodotti di importazione, per lo più appartenenti alla vasta area di criminalità alimentare. Prima di finire sul mercato, i nostri prodotti alimentari secondo le regole nazionale sono obbligatoriamente sottoposti a 143 esami per il rintraccio di altrettanti elementi chimici nocivi. Diversamente è per i generi importati dagli USA e dal Canada dove sono soltanto 6 gli elementi chimici da rintracciare e perseguire. Se i trattati CETA con il Canada e Ttip con gli americani saranno ratificati dall’Italia, i due Paesi avranno la meglio verso tutti gli altri che non possono agire senza tanti condizionamenti. Il problema è anche stato sollevato dall’Unione delle Camere di Commercio che localmente gestisce numerosi laboratori di analisi camerali, in realtà a difesa dei consumatori. In parte il tema anche riguarda la “agricoltura di precisione” che faciliterebbe l’abbattimento di tanti altri veleni di cui, talvolta, è accusato l’agroalimentare italiano.
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