di Gianfranco Quaglia
Se l’appetito vien mangiando – è il caso di dirlo – la sfida lanciata all’Europa sull’etichettatura dei prodotti alimentari è appena cominciata.. “Siamo partiti con il latte, poi siamo passati aio formaggi in etichetta, al riso, al grano e alla pasta, ai pomodori. E andremo avanti”. Maurizio Martina, ministro delle Politiche Agricole, ha scelto una vetrina la cui eccellenza è stata riconosciuta anche dagli “affineurs” francesi, per stimgatizzare l’azione della trasparenza “anche a costo di incorrere in infrazioni, perché siamo fuori dal quadro regolamentario dell’Ue, ma noi siamo disposti anche a discuterne con la Corte di Giustizia. D’altro canto esiste un regolamento del 2014 che a tre anni di distanza non è mai stato esercitato da Bruxelles. Nel fratempo Italia e Francia hanno deciso di scuotere il sistema a livello nazionale. Per me e noi europeisti convinti, è una sconfitta per l’Europa, ma abbiamo scelto di fare qualcosa invece di non fare nulla. Stiamo discutendo della prospettiva europea, se l’Europa non si fa sostenitrice su queste partite diventa più difficile da parte dei cittadini credere nell’Europa stessa”.
Parole pesanti, che però palesano la determinazione a proseguire sulla strata dell’etichettatura. “Bisogna andare avanti, unici in Europa abbiamo deciso di replicare anche per il riso, in presenza delle difficoltà che il settore incontra a causa delle importazioni dai Paesi Meno Avanzati, i cosiddetti Eba, agevolati nelle tariffe doganali a dazio zero. Molti agricoltori chiedono che l’etichettatura sia estesa a tutta l’area Ue? Bene, hanno pienamente ragione. L’Italia ha fatto il primo passo, la sua parte, ora tocca all’Europa”.
Per Martina, tutti i settori, riso compreso, potranno trarre benefici importanti. E cita il caso emblematico del caseario: “L’etichettatura l’abbiamo fatta con i francesi, spinti dalla crisi del settore che era sull’orlo dell’emergenza. Ebbene, quella decisione ora sta avendo effetti strutturali molto interessanti: c’è in atto un cambio di scenario dell’approvvigionamento delle produzioni, siamo già a un milione di tonnellate di formaggi con etichetta sulla materia prima. E poi vorei citare l’esempio del Piemonte, dove è stato realizzato il marchio Piemunto per una serie di prodotti. Si possono costruire capitali anche stando sul territorio, senza andare a Berlino o Londra. Ciò che conta è valorizzare la qualità senza cedere all’omologazione, noi abbiamo bisogno di raccontare i nostri prodotti e i produttori italiani devono avere come campo di gioco il mondo. Questa è la nostra sfida, la via alta che abbiamo davanti. E la partita dell’etichettatura è fra quelle fondamentali, in fondo sta il cittadino che ha diritto all’informazione per poter scegliere. Certo, i produttori devono essere messi in condizione di competere: la trasparenza non è sufficiente, occorre dare loro una mano, aiutarli a organizzarsi meglio, studiare pacchetti e contratti di filiera, agire insieme. Se dico cooperazione sto parlando di uno strumento ineludibile e strategico. Penso anche ai distretti: abbiamo strutture legislative che vanno svecchiate”.
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