Nell’estate che brucia l’Italia, e non solo per gli incendi, torna puntuale il dibattito sullo spreco dell’oro blu. Facile addossare la colpa all’agricoltura, rea di consumare acqua più del necessario. E in particolare sotto accusa finisce la risaia, anche se da qualche anno non più rappresentata da quel mare a quadretti classico che caratterizzava le camere sommerse in primavera. La tendenza delle semine in asciutta, sempre più diffusa, ha cambiato lo scenario senza peraltro risolvere il problema della carenza d’acqua. Anzi, lo ha aggravato. Roberto Isola, direttore generale dell’Associazione Irrigua Est Sesia, che con la sua squadra gestisce questo tempio delle acque e la coutenza dei canali Cavour, ne è convinto con dati alla mano e lancia addirittura un appello al mondo dei risicoltori: basta con queste tecniche, tornate a quelle tradizionali della sommersione primaverile se vogliamo conservare l’acqua. La risaia infatti non consuma acqua, ma la utilizza. Quella che scende dai ghiacciai, va nei fiumi e poi è incanalata nel Cavour e nei derivatori, se fosse utilizzata come accadeva sino a poco tempo fa, invece di scivolare, correre e finire tutta nel Po e in Adriatico, dopo aver allegato le risaie in primavera andrebbe a rimpinguare la falda freatica e attraverso le percolature alimenterebbe i fontanili e le risorgive che a loro volta restituirebbero acqua alla risaia per due-tre riutilizzi. Soltanto al termine di questo ciclo virtuoso l’oro blu più volte impiegato finirebbe nel Po o poi al mare. Ma nel frattempo ha rimpinguato le falde, creando una spugna. La tecnica delle semine in asciutta al contrario genera l’effetto opposto, lo spreco acqua: in un primo tempo perché non viene trattenuta e se ne va; poi, quando arriva giugno e i campi coltivati a riso hanno comunque necessità urgente di essere alimentati per non bruciare, il terreno richiede maggior apporto in quanto le falde sono prosciugate da mesi senza alcuna ricarica. Ma c’è di più: in quel periodo particolare le bagnature delle risaie si sovrappongono a quelle per il mais, con una richiesta concentrata che le poche riserve ancora disponibili sovente non riescono a evadere. Il paradosso dell’acqua in risaia sta tutto qui: rinunciare ad allagarla produce soltanto un’immagine apparente di risparmio, in realtà ne fa consumare e disperdere molta di più. E si potrebbe andare oltre: la costruzione di bacini artificiali che trattengono milioni di metri cubi d’acqua per i momenti critici. Vittorio Viora, presidente dei consorzi di bonifica del Piemonte: “Purtroppo noi siamo orfani del Vajont. Da allora non si è fatto più nulla”.
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