di Gianfranco Quaglia
La storia comincia a Sidney. Siamo nel Duemila. Andrea Desana, allora direttore di Coldiretti Vercelli, sta compiendo un viaggio in Australia e s’imbatte in un supermercato poco lontano dalla capitale. “Su uno scaffale – racconta – c’era in mostra una scatola di Arborio e una dicitura in inglese: questo riso arriva da Po Valley, dove si produce il miglior riso del mondo”. Desana ha un sussulto, non ha la certezza che quella varietà sia proprio Arborio, ma apprezza la capacità di fare marketing in quella terra lontana e di copiare il Made in Italy evocando il territorio d’origine. Torna a casa e si chiede perché se ci riescono gli australiani non possiamo fare noi altrettanto, ma sul serio, promuovendo una denominazione che sia vera e autentica.
Desana, di Casale Monferrato, è figlio d’arte. Il padre era il famoso senatore Desana, vale a dire colui che ebbe l’intuizione e l’idea di promuovere il vino italiano attraverso le denominazioni: il papà delle Doc. Andrea non ha dubbi: occorre tentare anche nel riso, ma su un territorio vasto. Ed ecco che si mette alla testa di un comitato promotore, coinvolgendo produttori, organizzazioni agricole (d’accordo Coldiretti, Cia, Confagricoltura) e lancia la proposta di creare il riso Igp (Indicazione geografica protetta Valle del Po). “Allora come oggi – dice- la risicoltura stava attraversando un momento di crisi. Anzi era cominciata prima e oggi mi chiedo se possa essere giustificabile una fase emergenziale così lunga, che dura ormai da oltre vent’anni. In quel momento ho pensato al mondo del vino, alle grandi possibilità e al valore fondiario raggiunto da alcuni terreni coltivati a Doc e Docg. Pensiamo alle Langhe, alle vigne del Barolo, che oggi possono raggiungere anche 1,2 milioni di euro a ettaro”.
E per la risaia?
“Non dico altrettanto, ma sicuramente una caratterizzazione specifica porterebbe a un riconoscimento maggiore”.
Come andò a finire quell’idea?
“Che sembrava cosa quasi fatta, molti ci credettero, poi la proposta si perse per strada. Ma non senza a ad alcuni risultati. Ad esempio l’Associazione Risicoltori Piemontesi, con Silvano Saviolo di Vercelli, confezionò una scatola con la scritta Igp Valle del Po”.
Oggi la proposta torna d’attualità, l’Ente Nazionale Risi è favorevole, se ne è parlato in sede di Ministero delle Politiche Agricole presenti gli assessori all’Agricoltura di Piemonte e Lombardia. Poi in un convegno a Mortara, dove sono intervenuti anche Mario Francese e Roberto Carriere (presidente e direttore delle associazioni industrie risiere). Abbiamo imboccato la strada giusta?
“Adesso o mai più. Il momento è critico. L’emergenza del settore è peggiorata, due ministri (Martina e Calenda) hanno chiesto a Bruxelles di applicare la clausola di salvaguardia. Ma non è detto che venga concessa. Nel frattempo occorre fare qualcosa e credo che una Igp potrebbe aiutare”.
In Italia già esistono la Dop della Baraggia, le Igp Vialone Nano e Delta del Po. Come sarebbe strutturata la Igp Valle del Po?
“Comprenderebbe una vasta area che va dal Piemonte alla Lombardia, spalmata su sei province: Vercelli, Biella, Alessandria, Novara, Pavia, Lodi. Un comprensorio risicolo di grandi proporzioni, dove si coltivano le più ricercate varietà del Made in Italy. Sarebbe un progetto unificante, che coinvolgerebbe non solo i produttori, ma anche il mondo dell’industria di trasformazione, mettendo in moto risorse di enti, fondazioni. Il tutto proiettato alla difesa del marchio, del territorio e del prodotto. Penso ci siano tutte le premesse e le possibilità. Basta crederci e volerlo. Ci sono riusciti nella Baraggia vercellese-biellese, che è un fazzoletto, a maggior ragione unendo le forze in campo su due regioni l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto”.
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