di Enrico Villa
E’ tempo di fitofarmaci in risaia e in altre colture. Responsabilmente, i produttori sono preoccupati. Senza i formulati resi disponibili dalla ricerca, le coltivazioni moderne non sarebbero possibili per conseguire buoni raccolti, come per il riso. Ma eccedere nelle sostanze, nell’errata convinzione che si consegue la vittoria contro i parassiti vegetali e animali, è quasi sempre un grave errore: a danno dell’operatore agricolo, dei consumatori che le derrate utilizzano dopo raccolti, dell’ambiente dove necessariamente debbono coesistere ambiente e, in senso più ampio, il territorio.
L’ Unione negli ultimi anni in tutte le grandi aree agricole che ricadono nei 28 paesi partner ha accentuato la severità contro l’uso smodato dei formulati i quali, del resto, possono essere sottoposti a controllo con il metodo della “precision farming”. Non deve più accadere quello che era successo, per esempio con il defogliante 2,4,5P usato per ragioni belliche ma giudicato assai pericoloso per uomini, animali, essenze vegetali con il rischi di essere letteralmente “bruciate”. La ricerca ha anche messo a disposizione varietà che per più rapida selezione naturale conseguono la capacità intrinseca di reagire ai parassiti, garantendo ragionevoli rese nelle produzioni.
Ma all’inizio di ogni campagna di coltivazione, come per esempio in risaia, è necessario un memorandum oltre al richiamo delle norme vigenti regionali, nazionali, comunitarie. Ed è quello che ha fatto il rinnovato periodico L’Agricoltore giornale di Confagricoltura di Vercelli e Biella, presieduta da Paolo Carrà anche presidente dell’Ente Risi. Il foglio di economia e di tecnica, fondato oltre novanta anni fa e attualmente diretto da Paolo Guttardi, è uscito con uno ”specchietto” semplice bensì molto significativo sull’uso preciso per epoca temporale di cinque sostanze attive per combattere le pestilenze in risaia. Esse sono il propanil, il quinclorac, il pretilaclor e il triciclazolo, in sostanza nel periodo compreso fra aprile e luglio, o aprile e agosto come prescrivono le tecniche di coltivazione a basso impatto ambientale. Questo tasto, fondamentale per una agricoltura sostenibile, è stato recentemente premuto dalle indicazioni di Agrinsieme (Confagricoltura, Cia, Cooperative) per un nuovo corso della Regione Piemonte e di uno sviluppo maggiore della green economy.
In questo contesto di una agricoltura che si avvale responsabilmente dei fitofarmaci indispensabili va anche inserita una ricerca dell’ Università di Torino e del settore fitosanitario regionale anche pubblicata sull’ultimo numero di Agricoltura. Operando per questo specifico studio nelle sei province piemontesi, i ricercatori Irene Goia, Stefano Gudino, Carlo Grignani, Dario Sacco, Simona Avagnina, Giancarlo Bourlot sono ricorsi all’indicatore EIQ (Envinronmental Inpact Quotient) messo a punto negli anni novanta dalla Cornell University americana. L’EIQ aiuta a determinare il reale impatto che l’utilizzo di fitofarmaci svolge sull’uomo utilizzatore, sui consumatori che scelgono i prodotti offerti dal primo nonché sull’ambiente. In sostanza la ricerca, tradotta in grafici, avverte che con i metodi usuali le più esposte agli effetti negativi derivanti dai fitofarmaci, anche per le ripetute passate, sono le colture come il melo, la vite, il pesco, il nocciolo. Invece un impatto assai basso è riscontrato per le colture autunnali e invernali nonché per i foraggi impiegati per gli allevamenti. Riso e mais sono in una posizione intermedia che però diventa abbastanza trascurabile se – pare di capire – si ricorre alla “precision farming”. Questa è la via indicata in questa primavera risicola da L’Agricoltore e dagli specialisti del Centro Ricerche sul Riso di Castel d’Agogna con i loro importati testi tecnici pubblicati su Il Risicoltore, autorevole mensile dell’ Ente Nazionale Risi.
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