Direttore marketing strategico di Novamont e responsabile rapporti istituzionali, presidente Associazione bioplastiche, protagonista della cosiddetta bioeconomia. Marco Versari è stato ospite dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti) di Novara nell’anno europeo del «Green management». Una serata all’insegna delle nuove frontiere che prendono spunto dalle fonti biodegradabili per garantire maggiore sicurezza e nuove possibilità di occupazione. Versari ha ripercorso la storia partita proprio da Novara, alla fine degli anni 80, quando nacque Novamont, costola del gruppo Ferruzzi (il più grande produttore agroalimentare europeo). Erano i tempi in cui il Donegani di Novara era un fiore all’occhiello (vi lavorò buona parte dello staff del professor Natta). Cancellato quel capitolo, oggi l’Italia è rimasta ancora il terzo Paese europeo per la chimica, anche se oggi – ha precisato Versari – siamo costretti ad acquistare il propilene all’estero.
Novamont, fulcro della ricerca del gruppo Ferruzzi, si affermò con la responsabile Catia Bastioli. Nel ‘96 la Comit acquisì il centro novarese e mise a disposizione risorse per produrre bioplastiche (il famoso Mater-Bi, ricavato dall’amido di mais). Novamont fattura 140 milioni l’anno, ha oltre 200 dipendenti (il 20% dedicato alla ricerca), con impianti di produzione a Terni, Pratica (Frosinone), Porto Torres (Sassari). «Oggi – ha detto Versari – le direttive europee ci dicono di usare sempre di più risorse rinnovabili per fare chimica, utilizzare biomassa al posto del petrolio. Ecco che cos’è la bioeconomia, un motore di sicurezza».
L’Italia è capofila nell’Ue su diversi fronti, a cominciare dalla legge sulle buste della spesa. Non solo: il sistema italiano di raccolta differenziata è il più importante del mondo e in questo settore Milano ha il primato europeo. «Ma tutto questo – dice Versari – l’Europa non lo sa e non sempre il nostro Paese può giocare un ruolo importante incidendo sui modelli europei. Se a Bruxelles non siamo presenti o non riusciamo a far sentire la nostra voce, poi non dobbiamo lamentarci se altri imporranno i loro modelli più vicini a quelli francesi o tedeschi. Quanto più saremo credibili tanto più potremo dare un vantaggio alle nostre industrie. Gli standard e le norme si decidono a Bruxelles e noi dobbiamo stare là con le nostre forze migliori».
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