Noci, nocciole, pistacchi: il trionfo della frutta secca

Noci, nocciole, pistacchi: il trionfo della frutta secca

di Enrico Villanoci

Un tempo erano essenze vegetali “da amatore“, che interessavano soltanto gli appassionati di botanica. Poi la Fao, sollecitata dalle filosofie salutistiche e dalle recenti “messe a punto” della medicina, in particolare dei nutrizionisti, con dati precisi ha sottolineato che mandorle, noci, nocciole, pistacchi meritano nuovamente attenzione. Ad esse si aggiunge anche il castagno, i cui boschi sono diffusi in Piemonte e in Italia. Il castagno è anche diventato oggetto di frutticoltura razionale. E fino al 2014 anche una forte preoccupazione dei coltivatori per il cinipide (Dryosmus kuriphilus) che ha distrutto intere piantagioni con danni rilevanti. Senza le essenze, l’industria agroalimentare e la pasticceria si troverebbero più in difficoltà, per pareggiare i loro conti ricorrendo alla importazione anche per soddisfare la forte domanda europea di mandorle, noci, nocciole, pistacchi.

Per le caratteristiche intrinseche di queste frutte secche, i consumatori dell’Unione Europea attribuiscono molto credito, in particolare, a mandorle, noci, nocciole e anche pistacchi per i gelati e per i preparati delle varie tradizioni territoriali (vedi la Sicilia). In più va aggiunta la castagna, fin dall’Ottocento base per la nutrizione e per il paesaggio nonché per l’industria di pasticceria. Senza castagne e marroni in alcuni periodi dell’anno (autunno e feste natalizie) sarebbe mancata la materia prima, anche prodotto di base per la tradizione tutta italiana delle caldarroste e delle castagnate. In una nota di Cecilia Contessa e di Roberto Botta del Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari (Disafa) dell’Università di Torino già due anni fa avevano prospettato questa fotografia statistica: cresce l’interesse mondiale per la frutta secca, la produzione italiana non soddisfa il fabbisogno specialmente del mercato europeo. E trattando di castanicoltura Giancarlo Bounous (Università di Torino) e Andrea Vannini (Università della Tuscia-Viterbo) hanno paventato nuovamente il pericolo che, a causa della globalizzazione dei commerci, incomba sull’agricoltura italiana. Agromagazine ne ha appena parlato. E le disastrose infezioni dei castagneti avevano assillato i coltivatori dai primi anni Duemila. Le galle procurate dal Dryocosmus Kuriphilus avevano compromesso i boschi e la raccolta delle castagne. E Giancarlo Bounous e Andrea Vannini, unitamente ad un’altra nota giornalistica di Cristiano Carli e Silvio Pellegrino (del Creso di Cuneo) ricordano: Il maldestro e scellerato commercio di materiale di propagazione ha causato, in questi ultimi anni, la devastante infestazione della vespa galligena che ha invaso l’intera area castanicola nazionale. Non solo. Ricordano, infatti, Carli e Pellegrino a proposito del Dryocosmus Kuriphilus: “Non ci era voluto molto per capire di che cosa si trattasse. Si scoprì che l’insetto era stato introdotto –accidentalmente- dalla Cina con una o più forniture di materiale vivaistico”. Il contraccolpo – commentano Carli e Pellegrino – fu consistente per l’importanza della castagna nella cucina territoriale, nel paesaggio nonché come ingrediente di base per la produzione di birre artigianali.

Un po’ diverso, secondo la Fao i cui dati statistici vengono commentati a livello internazionale, lo scenario riguardante mandorle, noce, nocciolo, pistacchio. Gli Stati Uniti, la Cina, l’Iran sono in testa per tutte queste essenze vegetali perché, più di un tempo, occorrono soprattutto all’industria dolciaria. Sia mandorle, noci, pistacchi contengono oli vegetali simili all’olio d’oliva. Parafrasando un detto popolare relativo alla mela, una noce al giorno toglie il medico di torno proprio per i contenuti della noce.

Un discorso a sé va fatto per il nocciolo (primato produttivo della Turchia, quindi dell’Italia e degli Usa) un vero prodotto agroindustriale, tanto è vero che recentemente la Regione Piemonte ha stipulato un accordo concordando che una parte di nocciole vadano ad una primaria industria multinazionale piemontese. Questa stessa industria – La Ferrero fondata negli anni Quaranta – ha attuato un programma industriale con tre obbiettivi: la difesa del nocciolo; la sua qualità con coltivazione diretta in Italia e in Turchia o sotto il proprio controllo; l’impiego del nocciolo per il prodotto Nutella nonché per altri dolciumi di prestigio. Fin dal 1946 Pietro Ferrero, pasticcere di Alba e fondatore della multinazionale, con nocciole e cacao che allora era scarso, “inventò” la Nutella da spalmare con l’aggiunta di olio di palma coltivato in Indonesia e in Malesia sotto il diretto controllo dell’industria dolciaria. Dietro la nocciola, il cacao, il latte, un piccolo giallo industriale: la messa al bando dell’olio di palma accusato dalle altre industrie dolciarie di procurare guai alla salute. L’istituzione comunitaria con sede a Parma e l’Istituto di Sanità provarono l’infondatezza della accusa. Un convegno scientifico a Milano nell’ottobre 2016 confermò: l’olio di palma ben controllato non procura danni di sorta. Ma la campagna contro l’olio di palma, che coinvolge anche la nocciola, è tuttora in atto con la partecipazione di circa il 95% dei concorrenti dell’industria di Alba. Partendo da due essenze vegetali (olio di palma e cacao) perdura una “piccola guerra” con due contenderti: la multinazionale e tutti gli altri. In parte, le spese vengono fatte dal nocciolo fortemente richiesto dal mercato europeo.

 

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