di Enrico Villa
Un grafico eloquente, richiamato dagli esperti di agricoltura e di marketing, documenta la rigogliosa espansione delle coltivazioni biologiche, ormai considerate seriamente anche dalla grande distribuzione. Impennata dal 1991 – quando la Ue regolò la materia – da parte degli operatori che sono passati alle coltivazioni biologiche, e uguale impennata degli ettari dedicati al terreno sul quale dovrebbero essere ripristinati i ritmi naturali, non dipendenti dalla chimica anch’essa relativamente prorompente. Il grafico documenta anche numericamente i produttori citati dalle associazioni agricole professionali: 60.000 imprese certificate biologiche, di cui 45.000 di produttori specializzati nonché 7.500 aziende che trasformano la loro produzione. In realtà, rispetto all’anno 2014, la crescita di questo settore, assai importante per la salute ed economicamente, è stato dell’8,2%.
Tuttavia, secondo il grafico richiamato il boom, sia per le aziende che per le superfici in ettari, è stato l’anno 2001 con gli operatori e i loro terreni andati rispettivamente oltre le 60.000 unità. Lo sviluppo è tanto più sorprendente quando si consideri che dal 1990 al 1992/93 le aziende impegnate erano poco più di zero. Poi l’incremento nel 2003.
Ma, storicamente, la sorpresa che suscita nei due ultimi decenni ha precedenti interessanti, con le radici affondate nella geofilosofia (rispetto della terra nonché del suo ambiente e contemporaneamente dell’uomo). In un suo saggio, lo storico agricolo Antonio Saltini, che a lungo insegnò all’ Università di Milano, si sofferma sul biologo tedesco Pfeiffeer che suddivideva l’agrobiologia e le coltivazioni conseguenti in due: un ambito etico con il sostanziale rispetto del suolo senza il quale le produzioni non sono possibili; e un ambito strettamente scientifico nel quale si applicano le coltivazioni tradizionali derivanti dai secolari ritmi della campagna (sovescio e via elencando, più il risparmio dell’acqua e del nutrimento del terreno) però non opponendosi del tutto alle tecnologie che anche comprendono l’utilizzo moderato dei preparati chimici.
L’avvertenza va applicata come avviene adesso per l’agricoltura biologica, badando a quanti vivono sul territorio e alla loro salute. E la conclusione per gli utilizzatori è sempre che i fitofarmaci in sovrabbondanza, quanto meno sono guardati con sospetto. I consumatori condividono questo risultato più diffuso in Svizzera, in Germania e nei paesi scandinavi: l’acquisto massiccio di prodotti biologici, con la ricerca insistente di derrate che anche si avvicinino al biologico. Nella grande distribuzione gli esperti di marketing ne hanno preso atto da tempo, con la conseguenza nei supermercati della apertura di reparti specializzati.
Questo atteggiamento, in via di consolidamento, si ricollega all’agrobiologo inglese Albert Howard (1873/1947) il quale divenne famoso per i suoi studi compendiati in un suo libro altrettanto famoso: I diritti della terra. Howard, che per i suoi meriti scientifici era stato nominato baronetto dalla corona britannica, quale tecnico agricolo era stato a lungo in India e aveva analizzato i metodi dei contadini indiani, in particolare quelli riguardanti il compostaggio per mischiare i residui e i rifiuti con la terra la quale necessita, appunto, di essere nutrita. Il sistema che esclude l’eccesso di prodotti chimici, per cui i contadini indiani recentemente hanno avuto più di un guaio, attua i diritti della terra. In effetti quando il suolo è violentato non secondo le indicazioni di Albert Howard, alla fine “si ribella” e non produce più, o produce in percentuali non economiche. La geofilosofia, che è anche alla base della agricoltura biologica, trova traccia negli insegnamenti dell’austriaco Rudolf Steiner (1861/1922), anche studioso di occultismo e dei ritmi agricoli influenzati dagli astri, che propose l’agricoltura biodinamica, o antroposofia, che sfrutta le energie vitali.
Le ispirazioni e gli adattamenti alla moderna agricoltura biologica di questi anni anche nella Pianura Padana, risalgono al russo Vasilij Vasil’evich Dokuchaev (1846/1903) universalmente considerato il padre della pedologia e scienza del suolo. Egli studiando le terre nere della Russia, accertò che le differenze tra appezzamento ad appezzamento era dovuta alle variazioni del clima, con un principio che è oggi ritornato di attualità. E nel 1883 Dokuchaev pubblicò il primo trattato che fissava i principi di catalogazione dei suoli. Nella seconda parte dell’Ottocento, lo scienziato russo attrasse l’attenzione dei suoi colleghi europei e americani i quali avevano il problema del terreno, dei suo diritti e dalla sua salubrità da coltivare abbondantemente, ma in modo corretto. Da allora, in circa in un secolo e mezzo, si è arrivati alla moderna agrobiologia che sempre più risponde alle richieste di un consumatore con la pretesa di nutrirsi di cibi agricoli sicuri. E in questa corsa al biologico in Italia, il Sud sta forse prevalendo. Le ragioni maggiormente green – annota una relazione sul tema – restano sempre al Sud ed infatti a livello nazionale al primo posto degli orientamenti produttivi certificati risultano le colture foraggere e i pascoli, i cereali e le olive. Fra di questi anche il riso biologico con una tendenza alla espansione come in Piemonte, del resto, è per i cereali (8.500 ettari) la vite e la frutta in genere, nonché la frutta a guscio.
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