Il coniglio, come i piccoli cani , è diventato ospite dei salotti italiani. E’ però anche animale da allevamento con un preciso significato economico che la Fao, con un grafico, evidenzia: la sua carne bianca ha contribuito a combattere la fame nel mondo. Il calcolo Fao è sulla macellazione nel mondo di rabbit: seicento milioni circa in Asia, 324 milioni in Europa, 318 milioni in America, 73 milioni in Africa. In coincidenza con una emorragia virale venuta dalla Francia, che ha colpito conigli selvatici e domestici, negli ultimi anni sul coniglio sono stati tenuti numerosi convegni scientifici.
La stampa di informazione d’Europa ha registrato largamente questi summit suscitati dalla preoccupazione degli allevatori. In Italia se ne sono occupati sia il Ministero della Sanità che le Asl. Il disagio è stata documentato da Il Messaggero con questo titolo: Il virus stermina i conigli: è panico. In Piemonte, seconda regione italiana per produzione, per la Conalpi (Consorzio di tutela e di valorizzazione del coniglio) presidente Davide Musso di Cuneo, nel mese di febbraio si è parlato in modo approfondito delle azioni di profilassi per proteggere gli allevamenti e di terapie. Infatti all’apparire ad Udine della malattia nel 2010/2011 non era ancora stato autorizzato dal Ministero della Sanità l’antivirus ricavato dal fegato degli animali, preparato in Spagna e dall’Istituto zooprofilattico di Perugia. Anche i docenti dell’Università di Milano (facoltà di Agraria) si sono garbatamente lamentati perché, in genere, ci si occupa della zootecnia grande (Bovini eccetera), disinteressandosi della zootecnia piccola (appunto, la coniglicoltura). I numeri e le localizzazioni degli allevamenti industriali sottolineano che questo atteggiamento di disinteresse è sbagliato. Il punto di vista è condiviso, fra le ragioni più importanti, dal Veneto, dalla Emilia Romagna, dal Piemonte, dalla Lombardia giù fino alla Puglia. Come evidenziano le statistiche in Piemonte (Cuneo) producono 200 aziende con 700.000 capi; e di questi, 50 con 600 mila capi sono attivi nelle diverse province.
Segnala, inoltre, la Fao che i macelli specializzati operanti nel nostro Paese sono una trentina i quali, a ciclo continuo, trasformano ogni giorno in carne bianca 30 mila capi. E’ pertanto comprensibile che si tema molto quando scoppia una epidemia di Mev/Rhd (malattia emorragica virale) la quale fa strage dei coniglietti non vaccinati fino ai 15 giorni di vita. A Udine, al primo apparire della emorragia virale, 13.000 animali su un allevamento di 17.000 fu eliminato con un grave danno per l’azienda. Poi la crisi virale a Treviso e altrove fu in parte “stabilizzata”. Secondo gli accertamenti sanitari delle Asl, l’emorragia virale, appunto arrivata dalla Francia, colpì per primi i conigli selvatici, poi diffondendosi sui domestici, un tempo ormai lontano solo “animali da cortile” per arrotondare i bilanci delle cascine, poi diventati una ragione di reddito economico che incide sul pil agricolo. Le tabelle ufficiali dell’import/export e, più in generale dell’allevamento, sottolineano l’importanza della coniglicoltura. La Cina, con 462 milioni di animali allevati (il 40% del volume mondiale) ha il primato, seguito da Italia, Venezuela, Corea del Nord, Spagna, Egitto, Francia, Colombia, Germania, Repubblica Ceca. Sempre l’import/export ne conferma l’importanza: dalla Cina arrivano carne di coniglio per 9.000 tonnellate e dalla Francia 6.000 tonnellate. In Italia lo scambio si calcola in circa 3.000 tonnellate (importazione) e 1.200 circa tonnellate (esportazione). Anche la Spagna, come indica Faostat, ha oggi allevamenti importanti.
Più di un tempo, sia in Europa che in Italia la carne di coniglio, bianca e adatta per l’alimentazione, figura poco nei menù. Stando alle statistiche, fornite da diversi istituti demoscopici, l’europeo medio consuma mediamente 0,93 chilogrammi pro capite che salirebbero a 1,35 chilogrammi in Spagna. I più in vista per questo consumo dovrebbero essere gli italiani con 4,4 chilogrammi pro capite. Ma anche per l’Italia è difficile essere precisi. Infatti, il consumo di carne bianca rientra nei consumi generali: da 27 chilogrammi per persona negli anni novanta, a causa del miglioramento dell’alimentazione siano passati a 78 chilogrammi pro capite. E in questa cifra rientrano anche i manicaretti di coniglio più quelli di pollo, pennuto anche importante da un punto di vista economico.
In ogni caso l’allevamento del coniglio, che dalla stabulazione passa direttamente al macello e alle macellerie, sta suscitando più di una discussione. In Europa le legislazioni e le linee guida nazionali hanno per adesso determinato regole “a pelle di leopardo”. In genere, comunque, un principio riguarda le gabbie e la possibilità degli animali di accedere al nutrimento di erbe fuori dei ricoveri dove sono costretti. Così in Germania, Austria, Paesi Bassi, Belgio, Svizzera, Belgio. E così dovrebbe essere per gli adeguamenti, per cui la Ducth Rabit Association sta studiando nuovi metodi di allevamento. Già in Gran Bretagna i conigli devono essere in grado di muoversi, alimentarsi e bere senza difficoltà nonché per gli stessi deve essere garantito un riparo al coperto. Nei prossimi anni, per la coniglicoltura più preparazione specializzata degli allevatori
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