E’ stato fatto un calcolo presunto: l’antica tradizione territoriale della gastronomia, nei secoli nata e sviluppatasi nelle nostre campagne, ci ha regalato almeno undici mila agrichef. In ogni cucina all’interno delle aziende agricole, di menù in menù inventati per risparmiare sugli alimenti e vincere la fame da “albero degli zoccoli” sono scaturite le “ricette del contadino” le quali, adesso, si stanno impadronendo dei mille e più libri di cucina, messi a disposizione dall’editoria specialistica e di settore.
La figura affascinante e romantica dell’agrichef, anche chiamato cuoco-contadino, forse nato in Francia e in Germania, è andata di pari passo con l’agriturismo, collocato talvolta in vecchie cascine trasformate in hotel senza eccessive pretese, bensì in campagna e all’altezza dei tradizionali alberghi di città. Essi si sono affermati impetuosamente, secondo l’Istat in Italia sono al momento 22.238, e nell’ultimo anno cresciuti di 498 unità ( + 2,3%) con un fatturato di 1,2 milioni di euro. Fra le organizzazioni agricole che maggiormente curano il comparto degli agriturismo, vanno annoverate Coldiretti dalle quali discendono Terra Nostra e Campagna Amica (fondazione) nonché Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) che da qualche anno sta facendo un pezzo di strada comune con Confagricoltura.
Coldiretti, che oltre agli agriturismi sta coordinando la “più grande rete mondiale di vendita diretta a chilometro zero degli agricoltori sotto un unico marchio“(20 mila imprese con l’assorbimento in Italia di prodotti in arrivo da 200 mila ettari), sta puntando molto sugli agrichef. Lo stesso sta accadendo per la Cia. In occasione di una manifestazione a Expo 2015 Dino Scanavino, esponente della Cia, ha fatto notare che il marchio Agrichef è stato a suo tempo depositato dalla sua organizzazione. Coldiretti, dal canto suo, sta promuovendo veri e propri master di agrichef, soprattutto in Veneto, insistendo perché questa specializzazione sia ammessa nei programmi delle scuole alberghiere le quali stanno disseminando l’Italia, anche diventate un riferimento per i giovani disposti ad una specifica formazione professionale. Recentemente lo “stellato” veneto Diego Scaramuzza, che possiede agriturismo e ristorante a Mestre, a ridosso di Venezia, è stato chiamato alla presidenza di Terra Nostra. E nelle sue successive dichiarazioni e argomentazioni ha ben definito la figura del cuoco contadino, contemporaneamente in grado di guidare professionalmente la sua azienda, tuttavia anche conferendo contenuti alla cucina annessa, utilizzando i prodotti della terra in sua proprietà e del suo territorio. Scaramuzza ha anche sviluppato la “filosofia dell’agrichef” che anche riguarda i cibi compresi nella piramide della dieta mediterranea, ma non solo. Infatti, almeno due “punti dolenti” sono connessi con il cibo, che attraverso le campagne e gli agriturismi dovrebbe finire in condizioni eccellenti al consumatore: i generi alimentari a chilometro zero provenienti dal territorio circostante e magari, come accade oggi, non dal Cile o dall’Argentina; e lo spreco enorme di alimenti, accentuatosi con le “false filiere”, in genere controllate dalle multinazionali e, paradossalmente, acuito dalle scadenze non rispettate dal consumatore, segnalate formalmente e che dovrebbero evitare la lunga permanenza nei frigoriferi di casa. Proprio l’opera intelligente di agrichef ben preparati dovrebbe evitare gli epiloghi negativi elencati. In ogni caso, con i cuochi contadini è più facile ottenere l’applicazione del “chilometro zero“, molto più difficile non sprecare cibo (49 chilogrammi pro capite, globalmente 13 miliardi di euro annui) appunto affidandone il compito agli agrichef, così come più volte è stato evidenziato sia da Diego Scaramuzza nonché dalle innumerevoli note tecniche di Expo 2015, di Coldiretti, Cia, Confagricoltura.
I paesi scandinavi, calcolando lo spreco di cibo nel più ampio novero dei rifiuti urbani, hanno in genere risolto il problema trasformando tutto in energia. Diversa è la situazione in parecchi paesi europei, compresa l’Italia. Che sia così, è testimoniato dal “Rapporto 2015 Waste Watcher“, dall’Università di Bologna con un particolare osservatorio diretto da Andrea Segrè (fondatore di Last Minute Market) nonché da Claudia Giordano ( Diari di Famiglia) e dalla Fao. Invece di essere esclusivamente materia prima trattata dagli agrichef, secondo il professor Segrè lo spreco di cibo vale complessivamente 8,4 miliardi all’anno, vale a dire 6,7 euro settimanali a famiglia per 650 grammi circa di cibo sprecato. Non solo, secondo Waste Watcher e la Fao. In tutto, sprecati sul globo, se ne vanno il 30% di cereali, il 30% di pesce, il 45% di frutta e verdura, il 20% di carne, il 20% di semi oleaginosi, il 45% di altri vegetali. In questo ambito dalle tinte drammatiche che ancor più influenza l’equilibrio ambientale, ecco fra gli altri la “figura-sentinella” dell’agrichef sulle cui mansioni di cuoco contadino tanto insiste Diego Scaramuzza di Terra nostra o Carlin Petrini, esperto di cibo della tradizione e della sua conservazione. Forse, attraverso l’ulteriore incremento degli agriturismi e degli agrichef saranno conseguiti i risultati importanti di rispetto del cibo, del consumatore e dell’ambiente, per adesso quasi soltanto una speranza.
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