di Salvatore Vullo
“Regione: un grande avvenire dietro le spalle”, questo il titolo delle due precedenti puntate per evidenziare la profonda crisi (anche esistenziale) che vivono le Regioni. Usando la metafora dell’oscillazione del pendolo, abbiamo avuto, sostenuto ancor più dalla Riforma del titolo 5° della Costituzione, un lungo periodo di oscillazione pro-regioni che ha progressivamente esaltato ruoli e poteri delle regioni (e del localismo), in un crescendo di parole d’ordine: decentramento, trasferimento di funzioni, competenze, autonomia, federalismo, devolution; un crescendo vertiginoso che aveva portato ad una sorta di delirio di onnipotenza; con effetti pratici che hanno determinato una crescita esponenziale della spesa pubblica, ancor più insostenibile per il crescere di inefficienza e di corruzione; ed ancora l’aumento dei conflitti tra Stato e Regioni con continui ricorsi alla Corte Costituzionale.
Cosicchè il pendolo ha cominciato ad oscillare dall’altra parte: verso il centralismo, lo statalismo; inevitabile per la crisi economica-finanziaria e per mettere sotto controllo la spesa pubblica; e lo Stato e i Ministeri accentrano spazi, poteri, risorse, ancorchè in contraddizione con le attuali disposizioni del Titolo 5° della Costituzione che, non a caso, era uno degli elementi più importanti della Riforma costituzionale, bocciata dal referendum del dicembre scorso.
Pertanto la contraddizione rimane, così come gli incagli, e la riforma del titolo 5°, con un riordino del sistema delle autonomie locali (visto il caos delle Province)resta sempre una priorità.
In tale contesto, credo, si impone anche la necessità di riformare la cosiddetta Legge Bassanini, che ha spostato buona parte del potere decisionale dagli organismi di governo esecutivi alla dirigenza. In pratica viene approvato da una determina dirigenziale, quello che prima veniva deciso da una delibera di giunta (organismo collegiale e ben identificabile), supportata da una struttura amministrativa come la segreteria di giunta che ne controllava preventivamente gli aspetti sostanziali, ma anche quelli formali e procedurali (sui quali spesso si incagliano i provvedimenti). Riforma animata da nobili intenzioni, ma che ha aggravato i fenomeni di corruzione ( che doveva eliminare o ridurre), e accentuato la burocrazia, tutto a scapito della efficacia ed efficienza della Pubblica Amministrazione.
In questi ultimi anni, ogni tanto circola la battuta: “Arridatece er CO.RE.CO”, ed anche: “Arridatece er Commissario di Governo”. E a proposito di battute, emblematica e terribile è quella che c’era in molti cartelli delle recenti manifestazioni di protesta delle popolazioni terremotate: “Uccide più la burocrazia che il terremoto”. Per dire che ormai il problema è tutto il sistema pubblico.
Una burocrazia sempre più invadente, oppressiva, vessatoria, inquisitoria, che spesso diventa un ostacolo a qualsiasi buon risultato. Certo, tutto dettato da nobili intenzioni: la trasparenza, la tracciabilità, le responsabilità, la lotta alla corruzione, la lotta alla mafia, alle elusioni, evasioni, e persino motivazioni etiche e morali; e tutto si veste di giuridicità, in un crescendo di regole, carte, controlli, adempimenti, e di enti e soggetti che se ne occupano, che spesso deprimono tutto.
Altro fenomeno che contribuisce, suo malgrado, ad aggravare la situazione, e che si estende sempre di più, è quello che qualcuno ha definito “Giuristocrazia”, ossia la supplenza o l’invadenza dei giudici e della Giurisdizione nell’ambito politico, di governo e delle amministrazioni pubbliche. E si riferisce alla giustizia penale, alla giustizia civile e amministrativa: Procure, TAR, Corte Costituzionale, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, ecc. (e per buona misura abbiamo creato anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione).
Una giurisdizione che, oggi, si potrebbe cosi sintetizzare: “Tutti possono ricorrere”, e “A tutto si può ricorrere”.
Dulcis in fundo, l’Unione Europea: principale soggetto che alimenta questo crescente mostro burocratico. E lo si vede, tornando ai nostri temi agricoli, del Programma di Sviluppo Rurale che, per le Regioni e lo Stato è diventato lo strumento di intervento quasi totalitario come risorse e raggio di azione in agricoltura (anche per la mancanza di risorse proprie regionali e nazionali). Programmi quasi dettati dalla Ue come finalità. Strategie, priorità, misure, e con regole di applicazione, di controllo, di rendiconto che ne imbrigliano o ne inibiscono l’applicazione (cresce il volume dei finanziamenti europei che non si riescono a spendere). Insomma, un “mostriciattolo” giuridico-burocratico che alimenta se stesso, a danno degli effetti benefici ai soggetti e ai comparti che sono i destinatari e lo scopo dell’intervento.
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