di Enrico Villa
I lupi, che vagano indisturbati per le Alpi, sono comparsi in Val Vogna, valle laterale della Val Grande valsesiana che immette sui pascoli stabili dai quali, stanno scendendo le mandrie. L’annuncio è della Coldiretti territoriale del Vercellese e del Biellese che anche elenca i danni che la meteorologia dell’estate 2016 ha arrecato ai pascoli alpini, situati oltre i 1600 metri. Infatti, la mancanza di pioggia e di acqua ha fatto ingiallire l’erba, essenziale per gli animali dai quali, grazie al loro latte, provengono i formaggi. Il presidente della organizzazione, Paolo Dellarole, ha richiamato l’attenzione di Giorgio Ferrero, assessore regionale all’agricoltura del Piemonte perché autorizzi la demonticazione anticipata, essendo venuta meno la possibilità di alimentare il bestiame.
L’arvicola terrestre
Ma i lupi sono soltanto una delle gravi minacce che riguardano gli allevatori delle Alpi e i pascoli stabili che la crisi idrica ha fatto ingiallire anzitempo. Accanto ai lupi, nonostante minuscola, c’è l’arvicola terrestre, piccolo roditore che spinto ad altitudini inconsuete, con le sue gallerie (tipo quelle delle talpe) devasta il terreno anche compromettendo la buona erba che non cresce più.
Tuttavia, nei pascoli di alta montagna, gli alieni come li hanno chiamati i ricercatori dell’Università di Torino, dei servizi agricoli francesi della Savoia nonché della Regione Valle d’Aosta, stanno sempre più preoccupando gli agricoltori. E, numerose specie esotiche, stanno invadendo le alte quote, talvolta già partendo dalle quote basse. Anche se utilizzate come piante ornamentali, in Valle d’Aosta una legge regionale le ha vietate. La loro proliferazione, che con gli alcaloidi contenuti avvelenano il bestiame, può essere pericolosa anche per le persone. In particolare, per quanti, ricercando nei prati le erbe officinali per scopi di salute, non conoscendole si imbattono in questi alieni. Nel contesto del progetto Napea (progetto di cooperazione transfrontaliera Italia-Francia, Alcotra 2007-2013 sui piani di sviluppo rurale) una équipe di sette giovani ricercatori, con il finanziamenti europeo nonché regionali valdostani e della Savoia a questi stessi alieni ha dedicato uno studio. Ricalcando minuziosamente il contenuto, questo il titolo del saggio: Specie esotiche invasive e dannose nei prati di montagna – caratteristiche, diffusione e metodi di lotta. E queste le erbe malefiche, che figurano ufficialmente in una lista nera di compilazione valdostana: il Panace di Mantegazza (Heracleum mantegazzianum); il Poligono del Giappone ( ibrido Reynoutria x boemica); il Senecio sudafricano ( Senecio inaequidens). Tutte e tre le essenze vegetali sono approdate nell’arco delle Alpi nello scorso Novecento provocando notevoli guai agli animali e anche all’uomo. Per il Senecio sudafricano una particolarità in più, provocata dai trasporti occasionali delle merci in transito. Il seme di questa erba distruttiva, che alla vista si presenta bene, è arrivato in Europa e in Italia mischiato con le lane per le stoffe del Biellese, della Lombardia e del Veneto.
Il Panace di Mantegazza
Anche il Panace di Mantegazza e il Poligono del Giappone richiamano aspetti interessanti che riguardano la storia della biologia e la capacità della Natura di conseguire ogm senza l’intervento dell’uomo. Infatti, nell’Ottocento i biologi intitolarono il Panace con il nome di Paolo Mantegazza. Il medico Mantegazza (1830/1910), di Monza, era un sanitario, che anche interessandosi di botanica, aveva accertato gli effetti nocivi di alcune erbe. E già alla sua epoca il Panace di Mantegazza attirò la sua attenzione per la forma ad ombrello dell’infiorescenza della pianta e per i petali bianchi o rosei dei suoi fiori. La pianta successivamente è stata studiata anche nella Repubblica Ceca e in Germania. Ed è stato concluso che la forte ombreggiatura esercitata dalla chioma fiorita toglie la luce alle erbe adatte al nutrimento del bestiame. I primi ceppi furono individuati a Courmayeur nei pressi del traforo, forse anche portate da autovetture e tir. Inoltre, il Panace di Mantegazza, originario del Caucaso, contiene nella sua linfa molecole fototossiche che determinano allergie sulla pelle, mentre il loro sapore amaro anche dopo lo sfalcio è, in genere, scartato dai bovini mentre è più tollerato dagli ovini e dai caprini.
Una testimonianza di ogm naturale è invece fornita dal Poligono del Giappone, ibrido dall’incrocio tra Reynoutria Japonica e Reynoutria sachalinensis, originaria dell’Asia Orientale e, come già accennato, arrivata in Europa nel Novecento. Anche in questo caso, l’attrazione è determinata dalla sua colorazione che, specie in autunno, diventa rossastra, invitando all’utilizzo per decorazioni floreali. Però i suoi rizomi, o parte degli stessi che riproducono la pianta conservando la vitalità diventano disastrosi quando, per un errore o per scarsa conoscenza botanica, sono disseminati in un prato. Il fusto di questa pianta è grande e robusto e anche alligna lungo le massicciate ferroviarie e le strade rotabili di pianura. Ultimamente, oltre ai pascoli in altitudine, sta aggredendo i vigneti. La pianta, esotica e aliena è velenosa rispetto all’erba gradita agli animali. Essa contiene sostanza allelopatiche che distruggono i vegetali vicini. Sia per questa che per le altre piante, l’eliminazione è per estirpazione o per via chimica, più efficace ma che inquina fortemente l’ambiente alpino
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