di Enrico Villa
Un mese fa circa, dichiarata da Coldiretti, è scoppiata l’ennesima guerra del grano. Con i prezzi di un quintale, per nulla remunerativi, i produttori non si pagherebbero una tazzina di caffè. E secondo Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, un chilogrammo di pasta su tre-quattro è prodotta con grano importato. Conclusione? Nel giro di un anno, il danno per i produttori agricoli è stato di 700 milioni di euro per il grano duro che serve per la pasta, ma anche per il grano tenero, utile per il pane e per i prodotti da forno. Sullo scenario dei cereali (grano e riso) è emersa specialmente la causa della crisi attribuita all’Ucraina, fino agli anni Novanta parte importante delle 15 repubbliche dell’Unione Sovietica nonché con una primaria struttura agricola fondata sulle cooperative collettive. In dodici mesi, l’importazione in Italia di grano ucraino è passato da poco di più di centomila tonnellate a oltre cinquecentomila.
Accordo con l’Unione Europea
In questa situazione pesante, aggravata dallo scarso valore della moneta ucraina, che genera una inflazione galoppante e inarrestabile, con influenza evidente internazionalmente sulla valuta sempre meno competitiva, pochi hanno ricordato una circostanza importante: l’accordo fra UE e Ucraina che dallo scorso primo gennaio ha sancito l’allargamento dell’area di libero scambio. In effetti, pur non ancora ammessa alla Comunità Europea, con il trattato dell’area di libero scambio riconosce all’Ucraina alcuni benefici economici: in primo luogo, l’abbattimento di dazi pagati versati alla CEE. Il premier Vladimir Putin – come è stato ricordato da Coldiretti– ha appena firmato il decreto che proroga in Russia le importazioni agroalimentari, con un danno per decine di migliaia di euro per i produttori italiani, in risposta alle sanzioni deliberata dalla UE nei confronti della Russia. I provvedimenti delle due parti si innestano su quello che diplomaticamente è definito “l’affare ucraino“. L’instabilità politico- militare sarebbe stata causata, in primo luogo, dal referendum per il passaggio allo stato russo della penisola di Crimea, e successivamente dalle tensioni civili nell’area ucraina, dove parte della popolazione, culturalmente filo russa, vorrebbe una autonomia regionale sul tipo di quella rivendicata nell’Unione Europea dagli scozzesi e dai catalani.
Posta in gioco alta
Dietro l’ultima guerra del grano per i suoi prezzi bassi, si staglia un quadro molto complesso e complicato. Il consumo di paste alimentari in Italia è di 28 chilogrammi pro capite e il pane intorno a 100 grammi, in ogni caso sempre “cibo della tradizione“.I consumatori sono lontani dalla rinuncia a questi cibi tradizionali che al mercato nazionale è offerto da 185 aziende con una potenzialità di 4.000.000 di tonnellate. La produzione annua di paste è di 2.900.000 tonnellate. Il consumo interno è di 1.609.919 tonnellate. E le esportazioni delle nostre paste, assai considerate, ma ultimamente insidiate da neo-produttori russi e ucraini, oltre a quelli americani, si aggirano intorno a 1.393.403 tonnellate. Da queste cifre si capisce che la posta in gioco è molto alta e coinvolge sia industriali della pasta che i produttori di grano concentrati soprattutto in Puglia. I produttori chiedono l’effettivo l’equilibrio di prezzi remunerativi, non finanziari, nonché l’etichettatura delle paste che documentino sia la provenienza del grano che del prodotto finale.
La conquista della <terra nera>
Le autorità ucraine dal canto loro, forse facendosi prendere la mano, hanno recentemente valutato che l’Ucraina, come ai tempi dell’Unione Sovietica, riprenderà il ruolo di granaio di Europa (più grano, mais, girasole per olio, barbabietole da zucchero) avendo come destino quello di “sfamare il mondo“. La previsione ottimistica è stata ripresa da agenzie internazionali. Ma anche in Ucraina, sempre più concorrente dei produttori di grano occidentali, il quadro in questo momento non è dei più felici. A causa della siccità, nell’ultima campagna produzioni di grano, mais, girasole e barbabietole hanno subito una evidente flessione. Questo ha messo in difficoltà i sette milioni di agricoltori ucraini (dati dell’Oakland Institute) che, gestirebbero aziende ad incominciare di 300.000 ettari, passate dagli originali kolkos ai presunti nuovi proprietari. La bontà della “terra nera ucraina” dovrebbe consentire la ripresa (adesso 7 tonnellate/ettaro di grano e di mais) affidandole un maggior ruolo in Europa dove gli immigrati ucraini in Italia, con un esposto, hanno auspicato l’adesione più organica a Bruxelles. Proprio grazie alla bontà della “terra nera” sono in corso azioni di accaparramento di terra ucraina, sul tipo di quella in Africa e in Asia, da parte di francesi, tedeschi, olandesi, cinesi. Inoltre l’Oakland Institute, considerato “indipedente“, segnala ufficialmente che in Ucraina è in corso l’espansione della Cargil, della Monsanto e della Dupont, multinazionali che avrebbero sempre maggior interesse per le industrie sementiere e per gli OGM. Più adatto agli organismi geneticamente modificati è il mais, in Ucraina ad alta produzione. Per adesso le autorità ucraine hanno vietato gli OGM, anche se altrove nel mondo è andata diversamente. Senza conoscenze approfondite della realtà ucraina anche gli OGM, assieme a grano e mais, potrebbero in Europa, senza regole chiare, diventare forti e pericolosi concorrenti.
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