di Gianfranco Quaglia
Il Piemonte ha ottenuto il riconoscimento Unesco di Patrimonio dell’Umanità per Langhe-Roero-Monferrato. On. Giovanni Falcone, lei è membro della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati e si sta occupando in particolare del territorio di provenienza, cioè Novara. Non si potrebbe pensare la stessa cosa per la risaia o è troppo azzardato?
<Mi sembra un progetto molto ambizioso, ma nel complesso giustificato da una serie di fattori ambientali, culturali, storici ed economici che caratterizzano un territorio che costituisce un ecosistema di grande interesse.
Nel caso specifico il riconoscimento potrebbe stimolare una nuova consapevolezza degli attori che operano sia a livello economico sia a livello sociale e culturale. Inoltre potrebbe costituire un nuovo punto di partenza per creare reti e sinergie necessarie al territorio per una promozione efficace delle risorse presenti ed attirarne di nuove.
Essere patrimonio Unesco, o anche solo pensare di poterlo essere, significa avere i requisiti per pensare una strategia di marketing di territorio efficace e nuove progettualità di sviluppo di un luogo forse troppo legato alla manifattura classica>.
La risaia italiana, concentrata nel triangolo Novara-Vercelli-Pavia, coinvolge 4.100 aziende produttrici, rappresenta oltre il 50% della risicoltura europea, assicura reddito a 10 mila famiglie tra imprenditori e addetti. Questo patrimonio non è sufficientemente rappresentato.
<La scarsa rappresentazione del territorio è dovuta almeno in parte alla scarsa dinamicità di un comparto legato a sistemi di produzione (e di distribuzione delle risorse tra gli attori della filiera) “tradizionali” e nel complesso poco “inclini” alle novità. Il riso è agricoltura intensiva e grande proprietà terriera, non si lega al turismo ed ha un forte impatto ambientale: caratterizza e disegna un paesaggio, ma lo modifica in maniera irreversibile, secondo logiche lontanissime da quelle della sostenibilità e dalla compatibilità. Inoltre solo negli ultimi anni sembra si inizi a comprendere la portata e l’importanza di campagne di promozione che legano il prodotto alimentare al territorio. Occorre un lavoro di comunicazione che sia in grado di legare prodotto e produttore in relazione al consumatore, in una logica moderna di scambio e relazione tra i due soggetti.
Se il territorio non racconta e non si lega alla produzione allora il legame non esiste, e il prodotto non viene percepito. Per fare un esempio recente: il successo di Coldiretti ad Expo è racchiuso nel “No farmers, no party”, slogan di rara efficacia, che racconta il prodotto attraverso il produttore, il vero cuore della filiera senza il quale non c’è processo produttivo. Oggi il consumatore non cerca prodotti ma produttori e storie reali. La risaia è il contenitore delle storie dei produttori, senza le quali il prodotto resta sospeso>.
Il settore genera un miliardo di euro al consumo. Basterebbe questa cifra per una maggiore considerazione. Ma esiste anche un risvolto culturale…
<Il riso è ancora un prodotto di scarso consumo in Italia, dove l’alimento base deriva dal grano. Il consumo di riso è destinato a crescere in Italia e in Europa, secondo le stime oggi condivise dagli esperti. Se cresce il consumo del riso cresce anche la richiesta del riso di qualità, il che dovrebbe essere l’obiettivo di un lavoro di promozione di una produzione made in Italy. Il riso italiano deve essere un riso di qualità, in un contesto che vede crescere i consumi del prodotto in valori assoluti, in un quadro di revisione e rivoluzione degli accordi internazionali tra UE e mondo Atlantico.
Dal punto di vista culturale ci sono due considerazioni da fare. La prima: la cultura del riso esiste ma è tutta da raccontare, il lavoro è complesso per la scarsa consapevolezza dei produttori e per la scarsa attitudine del territorio a raccontarsi e a valorizzare una risorsa che ancora non è percepita come tale. Si pensa alla risaia come luogo di produzione non come specifico del territorio, da aprire al visitatore. E non si considera che oggi il marketing del food è basato sull’esperienza, come quello del turismo: non si mangia un alimento ma una storia, una cultura e un paesaggio, così come, dal punto di vista inverso, si visita un posto attratti da un piatto tipico, che vale, nella logica dell’esperienza, come un museo o una chiesa.
La seconda considerazione riguarda un ritardo di analisi e studio sul tema ecologico, storico e culturale nel complesso: manca letteratura e manca ricerca sul tema. L’università potrebbe e dovrebbe dare un contributo diverso e determinante in questo senso. Magari stimolando la creazione di reti e sinergie tra gli attori locali per valorizzare un patrimonio poco conosciuto anche a chi abita il luogo. L’Università, così come l’ATL sono i veri nodi della questione, e forse l’anello debole nel contesto locale>.
Quali, secondo lei, i soggetti da coinvolgere nel cammino verso il riconoscimento Unesco della risaia?
<Il soggetto da coinvolgere è il territorio, intendo per territorio la rete di attori che fatica a condividere e mettere assieme le energie in vista della valorizzazione di un bene comune che potrebbe essere un volano di sviluppo. E, soprattutto, in funzione della necessità di pensare a nuove prospettive di sviluppo, se non alternative almeno complementari a quelle che ci sono.
Gli attori da coinvolgere sono “tutti”: interessa a chi fa il formaggio o il vino che si promuova il riso, ma interessa anche a chi fa la lana o le pentole e le forchette di design. L’eccellenza del territorio porta al riconoscimento dei prodotti del territorio e viceversa in un feedback virtuoso, altrimenti si perdono opportunità di promozione e, di conseguenza, di sviluppo. Occorre un lavoro di comunicazione sulla reputazione di un luogo nel suo complesso, dal lago al rubinetto al vino. Il paesaggio è un pezzo fondamentale: nel nostro caso il riso è il paesaggio, il contenitore.
Un discorso a parte invece va fatto per la politica, che oggi deve garantire processi e stimolare le condizioni per poter fare, quindi deve creare i presupposti per stimolare sinergie tra pubblico e privato, altrimenti non ha (quasi) più funzione, se non quella residuale di gestire una decrescita lenta e infelice.
Nel caso specifico il territorio costruisce una proposta, ma la politica la deve raccogliere: il pensiero si crea contaminando e innovando, e la politica deve raccogliere l’innovazione là dove si crea, cercando di creare le condizioni per passare dall’idea alla realizzazione concreta della proposta. In Langa l’idea dell’UNESCO parte da un gruppo di produttori, non dall’assessorato di un Ente Locale. E funziona perché il territorio ci crede. Oggi la politica non produce più pensiero, ma può creare le condizioni e favorire la creazione del pensiero, che parte “laterale” e diventa centrale se capace di coinvolgere un territorio nel suo insieme>.
La risaia Patrimonio dell’Umanità sarebbe un valore aggiunto per tutta la filiera produttiva (agricoltori e trasformatori) e di conseguenza darebbe più forza al settore non solo in Italia ma a Bruxelles….
<Oggi conta la reputazione, quindi la visibilità, che è la premessa per guadagnare “valore” percepito. Credo, portando il ragionamento all’estremo, che nell’economia di oggi, circolare e reputazionale, il valore dipenda per la maggior parte dal riconoscimento e dalla comunicazione. Esistere vuol dire comunicare e ottenere riconoscimento.
Ovviamente non si può prescindere dal prodotto e dal processo, ma lo stesso processo è oggetto di comunicazione e di azioni marketing…Il riconoscimento Unesco, o meglio il percorso che porta al riconoscimento del patrimonio è una grande operazione di marketing, a patto che sia accompagnata da comunicazione adeguata e efficace. Forse questo è il punto più critico. Da questo punto di vista il territorio non è autosufficiente; è poco propenso a fare rete e poco aperto agli stimoli che provengono dall’esterno.
Il modello probabilmente potrebbe non essere la Langa, ma la candidatura della città di Matera a capitale della cultura europea 2019, che vince la sua sfida a prescindere dal risultato. Chiaramente Matera è una “cosa” diversa, ma la vicenda della città dei sassi, già patrimonio dell’UNESCO dagli anni 90 dimostra che la comunicazione è centrale nei processi di condivisione e reputazione.
Matera diventa visibile e diventa meta turistica importante quando si lega ad un territorio vasto, attirando i flussi turistici che vanno dal Gargano al Salento, costituendosi la “capitale” morale della Basilicata, in una ottica GLOCAL che diventa una vera e propria “best practice”. Il percorso della candidatura, che dura tre anni, serve a consolidare la rete e fare comunicazione guadagnando reputazione.
Tornando alle risaie, il vantaggio consiste nel caratterizzare una macro area, e nell’essere un denominatore comune per diversità importanti che potrebbero diventare complementari: quando si pensa a NOVARA/VERCELLI, bisogna pensare anche a MORTARA/PAVIA, o a Beppe Sala, che da candidato sindaco a Milano vorrebbe riaprire i Navigli. In teoria questa si chiama Pianura Padana, Il denominatore comune è l’acqua, e dentro c’è anche il riso>.
L’azione potrebbe partire da Novara, ma dovrebbe coinvolgere tutti gli attori del comparto in modo trasversale, quindi anche Vercelli e Pavia, superando i campanilismi. Vede fattibile il progetto in questa ottica?
<Vedo l’esigenza di avere un driver, cioè un soggetto che crea le condizioni per creare la rete che guida o potrebbe guidare il cambiamento. Seguendo un’ottica di marketing di territorio, bisogna costruire un prodotto, o un progetto di prodotto, quindi bisogna capire come promuoverlo.
Il prodotto territorio però esiste se la gente che ci abita e ci lavora lo percepisce come tale, o in altri termini “crede” che sia un bene che porta vantaggi e che ha un valore. Solo allora si può pensare di andare oltre il campanile, ed oltre il modo di pensare tradizionale, tendenzialmente più rassicurante, anche se non più in grado di garantire sviluppo o prospettive. Del resto il mondo del riso è tradizionalista e poco avvezzo al cambiamento, e non potrebbe essere altrimenti. Una fase di “crisis” è da questo punto di vista è decisamente salutare.
Un altro aspetto riguarda l’orizzonte di riferimento. La risaia è un elemento che lega il Piemonte Nord orientale alla Lombardia e alla pianura padana, sia geograficamente che culturalmente, economicamente e socialmente. Questo aspetto non va sottovalutato. Pavia è strategica, altrimenti si rischia di limitarsi ad una versione pilota iperlocale che non consente la massa critica necessaria a giustificare l’ambizione del progetto.
Ultima suggestione: la nuova tendenza del consumo, legata al made in Italy, alle indicazioni geografiche tipiche, ai prodotti locali, al Km0, alla tracciabilità o alla carta di identità dei prodotti implica la valorizzazione dei contenitori, valorizzazione che passa attraverso quella dei contenuti storici e culturali>.
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