di Enrico Villa
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, sul finire di Expo 2015, del tutto positivo per l’agricoltura italiana, diede un annuncio condiviso dalle organizzazioni di settore: nel 2016, il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste diventerà il Ministero dell’Agroalimentare italiano. Così, il nuovo nome riassumerà una funzione moderna e di economia globale che, in effetti, era già quella a metà dell’Ottocento ai tempi di Camillo Cavour che nello stato sabaudo, prima dell’Unità nel 1861, ricoprì la funzione di ministro del Commercio e della agricoltura, anche tenendo conto dell’industria che si stava sviluppando sul modello inglese.
Il cambiamento confermato da Renzi e preannunciato dal ministro dell’Agricoltura Martina, non è nuovo. Nel dopoguerra, con un bisogno impellente di derrate alimentari per soddisfare l’alimentazione, il Ministero dello Stato centralista fu più volte in bilico. Infatti, più volte la politica che rivendicò l’abolizione, decidendo di assegnare il suo ruolo a altri ministeri, forse dell’Industria o del commercio. Poi, dopo un referendum che cadde nel nulla, l’agricoltura passò alle amministrazioni regionali come, in realtà, era in altri Paesi dell’Unione Europea. Le Regioni, fiduciarie della Unione Europea, affrontarono decisamente il capitolo agricoltura, anche fatto di bonifica dei territori e di formazione delle strutture operative le quali, al di là delle parole e degli impegni solenni, affrontarono con molta difficoltà l’adeguamento alle nuove tecnologie nonché all’equilibrio reale nel cui ambito è concretamente possibile la coltivazione.
Una formazione permanente
Oggi, grazie ai piani comunitari, il tema della formazione permanente dovuta ai continui adeguamenti tecnologici e dell’impiego dei prodotti di base, è ripreso con decisione, ma anche con timidezza, dai programmi di sviluppo rurale. I bandi previsti dovrebbero, in parte, soddisfare i bisogni di adeguamento anche alla agricoltura di precisione. In termini diversi dal passato, dovrebbero essere messi a disposizione gli strumenti di formazione che, fra Ottocento e Novecento, hanno tratto l’agricoltura da una grande arretratezza. E lo stesso è accaduto per mezzo delle testate tecnico-economica che, ormai da mezze secolo, figurano nelle cassette della posta o sulla scrivania degli imprenditori agricoli. Una riflessione su quanto è accaduto, o che non è ancora avvenuto nonostante la necessità, è sollecitata dalla nuova veste de Il coltivatore cuneese, puntualmente fatto di tecnica e di economia, come qualsiasi settimanale o mensile di divulgazione che, in breve, offre ai suoi lettori articoli e notizie non soffocate da complicati tecnicismi i quali non invitano alla lettura. Il bimensile diventato mensile, offre una panoramica ampia della agricoltura cuneese, una delle più importanti del nostro Paese. Il giornale, in migliaia di coppie, esce ininterrottamente da oltre sessanta anni. E il suo direttore Michelangelo Pellegrino è uno dei pochi giornalisti-divulgatori cui, con l’appoggio della Associazione Stampa Subalpina di Torino (il sindacato dei giornalisti) è riconosciuto il contratto professionale. I commentatori di diritto del lavoro si soffermano su questo aspetto: diversamente da quanto accade in diverse istituzioni pubbliche, la comunicazione deve essere governata da tecnici specialisti. E questo accade anche a Il Coltivatore Cuneese, edito dalla Coldiretti che, a Roma, ha allestito un ufficio stampa e di comunicazione di prim’ordine.
Il mago del vino e della vite
Il caso de Il coltivatore Cuneese , cui si aggiungono altre prestigiose testate fra le quali – è un esempio – Il Risicoltore (Editore Ente Risi di Milano, fondato negli anni Cinquanta dal compianto Tino Morbello, oggi diretto dal lombardo Giuseppe Pozzi) richiama un’altra epopea storica della divulgazione tecnico-economica in agricoltura: le cattedre ambulanti di agricoltura, accennate nei suoi saggi monumentali da Antonio Saltini dell’Università di Milano. La validità delle cattedre per favorire lo sviluppo dell’agricoltura meridionale e quella padana, descritta da Stefano Jacini nella sua Inchiesta agraria dopo l’Unità, fu scoperta nel 1829 in un convegno scientifico a Pisa. Da allora -187 anni fa – le cattedre ambulanti per la divulgazione tecnica che anche stimolò giornali generalisti come La Stampa, La Gazzetta del Popolo e Corriere della Sera, si moltiplicarono in tutta Italia. Il 13 luglio 1907 fu anche promulgata una legge per regolare nascita e funzioni delle cattedre nel cui ambito lavorarono genetisti illustri del grano come Nazzareno Strampelli, il mago del vino e della vite Arturo Marescalchi di Casale Monferrato, o il mago del riso Novello Novelli di Mortara. Il professor Strampelli, con all’attivo 900 studi a buon fine per il grano, diede un contributo fondamentale per la riuscita della battaglia del grano dichiarata dalle Camere di allora (Benito Mussolini presidente del Consiglio) il 20 giugno 1925.
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