di Gianfranco Quaglia
Buon Natalexpo. Ci piace augurarlo così, con questo neologismo che ricorda a tutti i 184 giorni dell’Esposizione universale, il sorriso stampato sui volti delle migliaia, anzi dei milioni di visitatori incrociati lungo il decumano, gli incontri, i dialoghi, gli abbracci e le strette di mano, l’impronta di una umanità tutta declinata sulla lettera e. Che sta per esperienza eccezionale, ecocompatibile, ecosostenibile. Ancora: emozionante, evergreen, energia, empatia, emoticon, europeo, euroasiatico. E si potrebbe continuare quasi all’infinito, in un gioco di ricerca stimolante segno di un filo conduttore: il cibo. Per la vita, la sopravvivenza, lo spreco, tutti temi emersi e metabolizzati a Expo, e sarebbe offensivo e comodo rimuoverli ora che è Natale. Perché restano di un’attualità sconvolgente e ci riportano a quando queste belle e profonde parole hanno formato la cifra di quei 184 giorni tutti messi in fila, vissuti d’un fiato e a perdifiato. Sarebbe un peccato sprecarne il significato, cancellarli soltanto perché sono stati: il sorriso come non si vedeva da tempo su tanti volti, la moltitudine festosa senza la quale Expo sarebbe stato soltanto un’esposizione asettica, non possono essere passati invano. Lì nel lungo viaggio attorno al mondo concentrato a Expo, si è riscoperto e cementato il rapporto ancestrale tra gli abitanti delle città e il popolo dei campi, in una sorta di complicità che ha travolto ogni steccato ideologico o politico. Agromagazine, come tanti altri organi di stampa, ha cercato di interpretare il senso di quell’avvenimento che ci consegna la parte migliore di un 2015 dai tanti lati oscuri e tragici. Ecco perché ci piace augurare un Natalexpo.
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