A Parigi, dietro i 40 mila delegati delle 196 nazioni partecipanti, il primo vocabolo che campeggia nelle traduzioni, è agricoltura. Qualsiasi sia la conclusione, a metà dicembre, della Conferenza sul cambiamento climatico dell’Onu, l’agricoltura continuerà ad occupare il primo posto assegnatole dall’umanità che si avvia rapidamente, forse senza rendersene conto, verso il 2050. Adesso, o nel 2020 quando è stata fissata come obbiettivo la revisione degli ipotizzati accordi, la Terra dovrà imprimere una accelerazione perché i tratti distintivi dell’ambiente mutino in meglio. Come nelle sue Encicliche ammoniscono Papa Francesco, o anche i potenti della Terra, senza rispetto dell’ambiente in ogni latitudine, l’umanità non sarà più capace di modificare l’evoluzione degli eventi geografici e ecologici, con una serie infinita di disastri: a causa dello zero termico, lo scioglimento dei ghiacciai ai poli con l’aumento del livello dei mari; il cambio dei corsi d’acqua e continue frane con alterazioni drammatiche dei territori; per lo spostamento dello zero termico quasi a due gradi centigradi rilevato nella scorsa estate 2015, il danno strisciante di coltivazioni essenziali per il genere umano come il riso e il grano dal quale sempre di più dipenderà la nutrizione sulla Terra che fra 25/30 anni si sta avviando ad ospitare circa 10 miliardi di donne e uomini che hanno diritto al loro benessere e – per dirla con i filosofi – a un minimo di felicità. E, senza agricoltura razionare e produttiva, tutto questo sarà molto problematico.
Il contributo della gente dei campi
Ricordiamolo: le oltre 190 nazioni partecipanti alla conferenza di Parigi, pur con le differenze dovute del diritto allo sviluppo come abbiamo accennato, hanno fissato mete da non eludere ora e nei prossimi anni con il contributo determinante degli operatori agricoli. Ecco queste stesse mete: come affermano il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon e gli attuali leader mondiali ,il contenimento dell’aumento della temperatura sotto i due gradi centigradi all’anno, diversamente da quanto è accaduto dall’ Ottocento nonostante la prorompente rivoluzione industriale; la diminuzione della emissione di gas, che condizionano l’effetto perverso dell’anidride carbonica, dal 40 al 70% entro il 2050; le revisioni sistematiche degli indirizzi programmatici mondiali; i finanziamenti, sulla base di 100 miliardi di dollari all’anno, allo scopo di favorire i paesi sottosviluppati che stanno operando per mettersi alla pari con le nazioni sviluppate. In proposito: l’Unione Europea e il Parlamento di Strasburgo stanno regolando verso il basso alcune coltivazioni come il riso e il grano attraverso l’abolizione di dazi doganali, in modo che, specialmente i cereali, irrompano in maniera prepotente sui mercati internazionali, introducendo altri squilibri commerciali. Inoltre: l’UE, nel 2013/14 ha varato il programma Horizon 2020 per il finanziamento della ricerca e della innovazione. Esso dovrebbe perseguire l’affermazione della energia alternativa e della efficienza energetica (un convegno, promosso a Vercelli da Agroenergia di Tortona, giovedì 3 dicembre) che dovrebbe, con l’aiuto dei tanti residui agricoli, contribuire alla riduzione delle emissioni di gas nell’atmosfera terrestre.
Il ruolo della biologia
Non solo, però, l’agricoltura ma anche la biologia. Da questa specialità scientifica, infatti, dipende la comprensione di fenomeni della agricoltura, talvolta semplicemente giudicati aggressione al lavoro duro degli imprenditori agricoli. Prendiamo, ad esempio, il proliferare aggressivo di animali selvatici e dei predatori fra i quali, a diverse latitudini, i cinghiali, gli orsi, i lupi, le volpi, le faine. Nell’estate 2015, lo zero termico è frequentemente salito oltre i 3.000/4.000 metri di altitudine, un tempo solo regno dei ghiacciai. E verso l’alto, compresa la vite, si è spostata la vegetazione e anche i predatori in cerca di cibo. Ecco, allora, le scorrerie di lupi e volpi ai danni degli allevamenti alpini sia nelle Alpi occidentali e orientali. Forse, come affermano gli esperi di biologia e di zoologia, alla base del comportamento degli animali, è lo zero termico che sconsiglia, comunque, la richiesta ecatombe dei predatori, o dell’orso bruno che migra nella Penisola provenendo da regioni confinanti, così come anche si sta modificando la microfauna tropicale la quale ha trovato dimora in Italia. Allo scopo di preservare la biodiversità, è stato recentemente presentato in Parlamento un disegno di legge che dovrebbe tutelare 130 razze da allevamento, 240 vitigni e 533 varietà di olivo che hanno sempre garantito un minimo di stabilità economica all’agricoltura italiana. Gli esperti, tuttavia, ammoniscono: a lungo andare, anche le coltivazioni di grano e, forse di riso, conseguentemente allo zero termico si sposteranno più a Nord, abbandonando poi l’Italia. E asseriscono anche: nella seconda metà di questo secolo potrà essere il disastro economico, prima di tutto iniziando dalla agricoltura, pilastro fondamentale del nostro vivere su questa Terra.
Nella foto: un campo di mais (da Unibo Magazine)
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