di Enrico Villa
Giovanni Sampietro, ingegnere di Robbio Lomellina, negli anni Trenta divenne direttore generale della Stazione Sperimentale di Risicoltura vercellese, fondata nel 1901 da un altro lomellino : Novello Novelli, ispettore agrario. In quegli anni, per scelta politica governativa, dopo le catastrofi provocate nei vigneti da una terribile patologia vegetale, era stato dato ampio spazio alla formazione e alla divulgazione tecnico-scientifica che avrebbe ridato un ruolo diverso al settore primario che negli anni Dodici del secolo avrebbe assegnato funzioni differenti alle produzioni agricole e agli alimenti di base come il grano, il riso e ad un alimento particolare come il vino. La ricerca e la sperimentazione, rinvigorita, andò anche oltre il disastro della Grande Guerra che nei campi della Pianura Padana aveva assegnato un ruolo preminente alle donne, gli uomini destinati nelle trincee delle Alpi Orientali.
La mission della Stazione Sperimentale
La mission della Stazione Sperimentale di Risicoltura di Vercelli fu di nuovo confermata negli anni Trenta con ricerche nella genetica, nella chimica agraria, nella lotta senza quartiere alle patologie sul riso, come il brusone. Alla genetica e alla sperimentazione delle varietà stavano, appunto, lavorando Sampietro e suoi collaboratori. Il ricercatore si era prefissato un obbiettivo: come registrare su pellicola la fecondazione della pianticina di riso. Il film, predisposto con i mezzi tecnici di allora, era rimasto al figlio di Sampietro, Marco, che ne fece dono ad un commentatore specialista del riso, con l’intesa di restaurare la pellicola e, poi, di volgerla se possibile in digitale. La trasformazione e i ritocchi non sono ancora avvenuti e, per adesso, la pellicola rimane chiusa nella sua custodia, in attesa di utilizzo di questo esempio di archeologia scientifica di risaia, in buona parte superata dallo sviluppo tumultuoso della fotografia analogica, quindi di quella digitale. Questa traccia sembra importante per un altro aspetto: la documentazione filmata dell’ingegner Sampietro avvia un ciclo di immagini dentro il riso e in mezzo allo stesso, non solo con intenti documentaristici e paesaggistici, bensì con finalità più propriamente scientifiche. A questi settori – detto per intenderci – appartengono le migliaia di fotografie per illustrare le varietà di riso e le loro caratteristiche o i fotogrammi a disposizione degli entomologi, o da esse direttamente realizzati. “Non sempre – osservano gli esperti – gli scatti conseguono i massimi risultati, lasciando più di una insoddisfazione in chi guarda e deve utilizzare”. In realtà sta accadendo ciò che è comune alla illustrazione fotografica scientifica e divulgativa: fotogrammi espressivi ma non sempre in grado di rendere in ogni suo aspetto il soggette – o i soggetti – ritratti, anche tenendo conto delle luci da utilizzare.
Il dibattito su questi segreti, stimolanti per gli appassionati e per i club di fotografia, si è riacceso aiutato da due circostanze: 1) la riscoperta o il recupero di lastre analogiche che fissano i momenti salienti della Storia della risicoltura italiana, come l’Ente Nazionale Risi ha fatto con i suoi calendari 2014; 2)in queste ultime settimane l’istituzione, a Vercelli, della Scuola Italiana di Fotografia, con finalità ambizione che non riguardino solo i paesaggi e l’ambiente, bensì anche la biologia nonché le ormai troppo minacciose degenerazioni territoriali.
Il contributo della famiglia Sella
La tradizione fotografica piemontese, risale a metà dell’Ottocento, quando Botero fondò la Gazzetta del Popolo in opposizione alla concezione liberale di Camillo Cavour e quando, influenzati dalla Francia e da Parigi, i primi fotografi riempirono con i loro gabinetti i portici torinesi. Ampi richiami a questo periodo si ritrovano nei materiali di archivio della Fondazione Sella, appartenente alla stessa famiglia di Quintino Sella, ministro finanziario dello stato unitario. Nel repertorio archivistico della Fondazione Sella è presente il ritratto fotografico di Pietro Masoero, di Vercelli, e che nel XIX secolo tanto operò nella risaia a quel tempo appartenente alla provincia di Novara. Ed è nel fondo archivistico che figura uno dei primi dagherrotipi a colori scattato in risaia dove, ovviamente, in bianco e nero continuava ad essere preminente.
A questa epoca, si salderà culturalmente e didatticamente la Scuola di fotografia, voluta dall’Università Popolare di Vercelli per la cui inaugurazione è stato scelto il Barocco di una chiesa da recuperare. Paola Bernascone, presidente della Popolare punta molto sulla Scuola di Fotografia con così tanti precedenti nonché con ipotetiche sezioni di specializzazione scientifica. I contenuti didattici saranno dati dal direttore Massimo Bernabino, erede di una fotografia di risaia come ai tempi di Pietro Masoero, che adesso diversi comuni del Novarese chiedono all’Unesco come le Langhe di far diventare la stessa risaia patrimonio dell’umanità.
(Nell’immagine: semina manuale a spaglio, foto Ente Risi, Fondo Marabelli)
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