Importazioni senza fine, frontiere aperte a dazio zero. Una valanga che rischia di mettere in ginocchio la risicoltura italiana. All’inizio della raccolta, già partita con anticipo, il commissario straordinario Ente Nazionale Risi, Paolo Carrà, traccia un bilancio e lancia il grido d’allarme: «Così non si può più andare avanti. La mia grande preoccupazione è che si finisca con il riso esattamente come è avvenuto per il settore bieticolo-saccarifero».
La delusione di Carrà riguarda negoziati portati a termine a Bruxelles tra l’Ue alcuni Paesi del Sudest asiatico. Si riferisce in particolare al Vietnam?
«Le importazioni dai Pma (Paesi meno avanzati) e l’accordo che consentirà al Vietnam di esportare nell’Ue 80 mila tonnellate senza pagare dazio creano grandi problemi. Sul negoziato Ue-Vietnam è venuta a mancare la presenza della nostra delegazione».
Eppure questo accordo è stato definito soddisfacente…
«Sentirsi dire dal viceministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che questo è un accordo buono proprio non ci va giù. Avremmo preferito non udire una cosa del genere, soprattutto da un ministero che ha collaborato con quello delle Politiche Agricole e condiviso il documento finalizzato alla richiesta della clausola di salvaguardia. Ora è necessaria una riflessione, soprattutto occorre rimarginare la frattura venutasi a creare fra i due ministeri».
Che cosa manca veramente all’Italia per farsi ascoltare da Bruxelles?
«La politica ha una grossa repsonsabilità e può giocare un ruolo determinante nel futuro del nostro comparto, ma senza dubbio da troppi anni stiamo pagando il vuoto di una lobby tecnico-strategica a Bruxelles, in grado di tutelarci».
Tutto è veramente perduto?
«Margini di manovra ci sono. A gennaio 2016 ci sarà un incontro tra il Parlamento Ue e la Commissione europea proprio sugli accordi Pma. Prima di allora noi dovremo essere in grado di convincere Bruxelles che le nostre proteste sono basate su fatti concreti e non confutabili. La Cambogia, ad esempio, è il Paese che in larga misura esporta più riso agevolato (cioè senza pagare tariffe doganali) verso l’Ue, in virtù di accordi che ufficialmente dovrebbero aiutare il reddito degli agricoltori locali. Da indagini certe, diffuse anche all’interno della Cambogia, risulta che parte di quel riso non è autoctono, cioè prodotto nei confini nazionali, ma frutto di triangolazioni. In altre parole: merce che arriva da altri Paesi. Ma la Commissione europea ci ha risposto: portateci le prove!».
Ma non esiste un organo di controllo superiore?
«Certamente. E’ l’Olaf, lOffice européen de lutte anti-fraude (L’ufficio europeo della lotta anti-frode). Che cosa fa?»
Torniamo alla situazione del mercato imminente. Quali soo le prospettive?
«Secondo le rilevazioni Ente Risi la superficie è leggermente aumentata e ha raggiunto i 227 mila ettari. Nel dettaglio: circa 20 mila in più di lungo A (di cui 14 mila da interno). Mentre abbiamo qualche scorta di lungo A parboiled non esistono giacenze di Indica o di riso da interno. Sul fronte dell’export lo sbocco della Turchia non sarà più come il 2014, quando le richieste sono andate oltre ogni aspettativa perché la produzione interna era stata intaccata dal brusone. Quest’anno, invece, dovrebbe essere in linea con il fabbisogno dei consumatori e quindi si prevede che si farà minor ricorso al nostro Made in Italy».
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