di Gianfranco Quaglia
Duecento milioni di euro. E’ la prima stima dei danni causati dalla siccità in agricoltura. L’estate torrida fa scrivere e pronunciare, per l’ennesima volta, la parola emergenza. Vocabolo riecheggiato con forza anche a Expo 2015, dove l’Anbi (Associazione nazionale bonifiche irrigazioni), l’ente che raggruppa tutti i consorzi italiani, ha riunito esperti e politici per affrontare il tema della difesa del suolo e dell’acqua, titolando il vertice «L’acqua è cibo».
Quindi bene di consumo fruibile, elemento irrinnciabile (il 18% della superficie irrigata produce il 45% del fabbisogno alimentare del pianeta).
Il messaggio che arriva da questo vertice sulla gestione dell’oro blu è anche un altro: mai più emergenza. Basta puntare il dito contro l’agricoltura che sottrae acqua, ma al contrario occorre una politica che riconosca il ruolo degli agricoltori come indispensabili custodi del territorio. Ovviamente non è sufficiente l’enunciazione, alle parole occorre far seguire i fatti, cioè gli investimenti per realizzare opere di tutela e antispreco. Questo il punto fondamentale. La risaia piemontese, ad esempio, ne sa qualcoisa. La zona della Baraggia biellese vercellese, dove si produce il primo e unico riso Dop europeo, soffre ormai di una sete atavica, che si sta manifestando in questa estate torrida. L’idea di una riserva d’acqua custodita in un bacino di montagna è un problema annoso, finora mai risolto anche per motivazioni paesaggistiche. Eppure qualcosa bisogna fare, lo ha detto chiaramente l’assessore all’agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero, intervendndo al convegno Anbi: «Immagazzinare acqua è diventato un dovere, non può più essere motivo di contrasto con gli ambientalisti. Possiamo ragionare su come ralizzare l’opera, non sul non farlo». Parole esplicite, che sottolineano un evidente cambio di passo sui mancati invasi: «Stiamo sprecando una risorsa fondamentale».
Ferrero parla poi del suolo impermeabile, che ha raggiunto livelli drammatici: «Solo la crisi ha fermato la cementificazione. C’è bisogno di una struttura nazionale come quella dell’Anbi che faccia da riferimento. Gran parte delle bellezze del nostro Paese passa attraverso la programmazione e il governo delle acque».
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